La morte dei cinque lavoratori, vittime del crollo di una trave durante la costruzione di un supermercato a Firenze, ha riacceso l’attenzione sulle problematiche della sicurezza nei luoghi di lavoro, con il corollario delle richieste di nuovi interventi normativi e di aumento dei controlli e delle sanzioni per le imprese che non mettono in atto le misure preventive.
Al di là dell’episodio specifico e delle cause che l’hanno determinato, che saranno accertate dalla magistratura, i commenti sui mass media tendono a descrivere il problema degli incidenti sul lavoro in Italia come un fenomeno fuori controllo e con numeri in aumento. Causato in particolare dalla destrutturazione delle imprese con l’aumento delle esternalizzazioni delle attività e dei subappalti, e dalla precarietà dei rapporti di lavoro. L’ondata emotiva viene sempre accompagnata dalla richiesta di nuove normative finalizzate a prevenire il fenomeno, di aumentare i controlli, di inasprire le sanzioni.
Punire i colpevoli per aver trascurato le misure di sicurezza è doveroso. Ed esistono ampi margini per adeguare le misure preventive e i controlli per renderli più efficaci rispetto all’evoluzione delle organizzazioni del lavoro. Ma l’efficacia delle misure adottate si deve valutare in relazione alla riduzione del fenomeno non sui singoli episodi. Questo vale per la sicurezza del lavoro come in altri contesti, dato che in nessun ambito della vita quotidiana è possibile azzerare il rischio degli incidenti.
I numeri italiani danno conto di una costante riduzione sia per la quota degli infortuni che per i decessi. I dati provvisori relativi alle denunce del 2023 evidenziano una riduzione da 698 mila a 585 mila (-16,1%) degli infortuni sul lavoro e da 1.090 a 1.044 (-4,5%) del numero delle vittime. Il calo delle denunce è dovuto essenzialmente alla riduzione di circa 100 mila infezioni da Covid-19 sui luoghi di lavoro che nel corso della pandemia sono state assimilate agli infortuni. La riduzione del numero delle vittime è concentrata sulla quota degli incidenti in itinere per andare e tornare al lavoro, che la normativa italiana, diversamente dagli altri Paesi europei, considera come parte integrante degli infortuni per motivi di lavoro.
L’impatto del Covid – 19 sulle fermate della produzione e sulle denunce non permette di fare una lettura lineare dei numeri degli ultimi tre anni. Ma il confronto con i dati dei 5 anni che precedono la pandemia, che hanno registrato una media annua di 630 mila infortuni (compresi il 15% di quelli in itinere) e di 1.274 decessi (735 escludendo gli incidenti in itinere) conferma la tendenza decrescente. Quello con le serie storiche degli infortuni in Italia è ancora più eclatante. Nel 1971 gli infortuni erano oltre 1,6 milioni e circa 3.500 le vittime nei luoghi di lavoro. I numeri del 2023 assumono maggior valore se si tiene conto della crescita dell’occupazione intervenuta nel corso di mezzo secolo.
La lettura d’insieme ci consente di valutare quali sono i fattori che possono concorrere a ridurre gli incidenti sul lavoro. Il più rilevante è quello dell’impatto delle innovazioni tecnologiche, che hanno ridimensionato il fabbisogno dei lavori faticosi e consentito di ridurre gli orari di lavoro pro capite. In parallelo è diminuito anche il numero degli occupati nelle attività industriali, delle costruzioni e dell’agricoltura sul totale dei lavoratori. Sono i settori che storicamente registrano un’intensità più elevata degli infortuni. Mentre è aumentata l’occupazione nei comparti economici dei servizi che hanno un’esposizione ridotta rispetto al rischio di incidenti.
Nel frattempo è migliorata la qualità delle normative rivolte a prevenire gli infortuni e la sensibilità collettiva per la loro applicazione. Esistono ancora molte aree di economia sommersa, che registrano anche un rilevante coinvolgimento di lavoratori immigrati. Sono le attività che devono essere maggiormente attenzionate dalle attività ispettive e che, con tutta probabilità, comportano un sottovalutazione del numero degli incidenti formalmente denunciati.
La presenza di un numero di micro e piccolissime imprese, superiore a quello degli altri Paesi europei, non ha impedito di ottenere buoni risultati per la riduzione degli infortuni. Tuttavia, la dimensione ridotta delle imprese concorre a sottodimensionare anche gli investimenti sulle competenze dei lavoratori che comportano conseguenze negative anche sulla sicurezza del lavoro.
L’impatto della catena degli appalti e dei subappalti, ovvero dei lavori affidati con le gare al massimo ribasso dei costi, non favorisce di certo la possibilità di gestire in modo coordinato ed efficace le misure di prevenzione. Nell’ambito degli appalti pubblici queste modalità di affidamento sono state superate, ma la pratica è tuttora diffusa negli appalti privati.
L’esperienza insegna che concentrare gli interventi di contrasto con l’introduzione di nuove normative e di sanzioni più rigorose rischia di appesantire gli adempimenti burocratici per le imprese più sensibili alla sicurezza senza costituire automaticamente un valido deterrente per gli evasori.
La realistica prospettiva di un aumento dell’impiego delle tecnologie digitali nelle organizzazioni del lavoro e, in parallelo, delle competenze dei lavoratori dovrebbe favorire un progressivo miglioramento delle condizioni di sicurezza degli ambienti di lavoro. A questo obiettivo può concorrere anche la crescita della sensibilità collettiva sui temi della sostenibilità ambientale e del miglioramento delle condizioni di lavoro. Questa evoluzione consente anche di focalizzare meglio le aree dove si concentrano i rischi e di aumentare l’efficacia delle attività ispettive.
La possibilità di ridurre ulteriormente il numero degli incidenti sul lavoro è alla nostra portata, ma dipende solo in parte dall’adeguamento delle normative e dei controlli.
Natale Forlani
Pubblicato su www.ilsussidiario.net