Per avere un’idea dell’inflazione che morde non è necessario cercare fonti finanziarie più o meno autorevoli. Basta andare dal fruttivendolo e vedere che i prodotti non di prima scelta, quelli venduti alla rinfusa “in offerta” a prezzo fisso, sono passati da 1 a 1,80 euro al chilo. E così non solo per frutta e verdura ma più in generale per tutti i prodotti, nonostante le patetiche campagne pubblicitarie dei supermercati di improbabili iniziative di contenimento dei prezzi al consumo.
Ci vuole poco anche per capire che le politiche monetarie delle grandi banche centrali, di fronte al problema in discussione da mesi e relativo alla riduzione o meno di acquisti di titoli pubblici, ovvero all’aumento o meno dei tassi di interesse, possono agire limitatamente quando l’inflazione è innescata dalla esplosione prezzi dell’energia.
In effetti, negli ultimi due trimestri si sono verificati aumenti mediamente del cinquanta per cento, con il prezzo del gas che ancora non si ferma e quello del petrolio che ha sfondato i cento dollari al barile, e lì si mantiene. Se poi consideriamo che in Italia il cinquanta per cento della energia elettrica è prodotta utilizzando il gas è facile rendersi conto quanto sia difficile contenere la causa principale all’origine delle tensioni inflazionistiche. Le imprese italiane, secondo fonti delle loro associazioni, prevedono quest’anno nei loro conti economici maggiori costi energetici per quaranta miliardi di euro.
Non è la prima volta che questo succede. Al blocco delle forniture di petrolio negli anni Settanta non si accompagnò solo un’inflazione a due cifre e una conseguente recessione, ma anche la paura di non potere più disporre di petrolio a sufficienza. Esattamente come oggi, visto il braccio di ferro in corso tra il principale fornitore, la Russia, e i paesi importatori (in particolare Germania e Italia) nella vertenza sulla moneta di conto per il pagamento delle forniture: i russi esigono il rublo e i paesi acquirenti invocano il rispetto dei contratti in corso che prevedono il pagamento in dollari o in euro. Una vertenza che rischia di bloccare le forniture di gas che attualmente coprono addirittura la metà del nostro fabbisogno.
Se allora è vitale assicurare le forniture di energia e ridurre i prezzi, e se la politica monetaria può fare ben poco a questo riguardo, torna ancora una volta di decisiva importanza il ruolo della politica. Tutta, quella del governo e quella dei partiti.
Ovviamente dovrà cessare la guerra in Ucraina prima che degeneri ulteriormente e porti altre conseguenze rilevanti. In ogni caso, è urgente un’azione di governo per prevenire gli effetti conseguenti alla caduta dei redditi reali. Più che la politica monetaria è quella fiscale che può rappresentare uno strumento affinché il carovita non riduca ancora di più i redditi, tenuto conto che i salari, a differenza di quanto accade in America, sono fermi.
I provvedimenti del governo sono annunciati. Quanto ai partiti continuano a discutere di altro, né sono note proposte al riguardo, che provengano da destra o da sinistra. Eppure il problema del fabbisogno energetico è serissimo, considerato che molte leggi sul “rilancio energetico”, nel corso degli ultimi cinquant’anni, non hanno certo risolto il problema. Sono prevalse le “convenienze”, aumentando le quantità di gas importato fino al punto di ignorare persino i nostri giacimenti che non sono certamente tali da sopperire al fabbisogno, ma almeno in grado di ridurlo sì.
Inutile dividersi nelle discussioni tra le tradizionali risorse fossili o le energie alternative: in questo momento non c’è tempo e servono solo investimenti efficaci, compresi nuovi gasdotti mediterranei, centri di stoccaggio e nuovi gassificatori. Quanto alle energie alternative ben vengano, purché si rimuovano ostacoli che stranamente non sono mai stati tenuti in conto nelle discussioni di principio. Valga solo un esempio: l’accoglimento delle domande per installare in Italia impianti eolici in mare dal 2014 al 2020 hanno consentito la realizzare solamente dell’1,3% dei progetti. Così, dopo aver programmato di raggiungere un fabbisogno di 8 GW all’anno per dieci anni, nel 2021 si è raggiunta solo quota 1 GW.
E’ solo uno dei tanti casi che induce a dare ragione a Max Weber quando sosteneva che la burocrazia è un potere assoluto anche in democrazia, perché “il suo dominio si fa sempre più indistruttibile”.
Guido Puccio