Quando i nodi giungono al pettine, per quanto appaiano a prima vista inestricabili, in effetti, ad un occhio attento, talvolta lasciano intuire dove sia il bandolo della matassa per cui il garbuglio si rivela meno complesso di
quanto sembrasse. Ed almeno se non dipanare, si lascia leggere ed interpretare. E’ un po’ così per la situazione in cui il nostro sistema politico – maggioritario e bipolare – si avvicina alle politiche del prossimo anno.
Tra una decina di giorni, i ballottaggi daranno un’ultima pennellata al risultato delle amministrative, che qualche indicazione l’hanno pur data. Abbiamo perso il conto di quante presunte “repubbliche” si siano succedute alla prima, secondo letture superficiali e di comodo. Quel che è certo, per restare alla più accreditata, la cosiddetta “seconda repubblica” è finita. Forse e senza forse, è più appropriato sostenere che sia fallita. Non ha sostanzialmente mantenuta nessuna delle promesse con cui – ormai trent’anni or sono – ha debuttato sulla scena politica del Paese.
Non a caso l’approdo cui è giunta è rappresentato dall’impotenza che oggi osserviamo. Sopravvive formalmente, ma è di fatto superata.
Del resto, per quanto ci riguarda, la riflessione politica che ha condotto ad INSIEME ha preso le mosse da questa constatazione, su cui oggi molti, di fatto, convengono. L’ autonomia che abbiamo da sempre rivendicato, il superamento della concezione “leaderistica” dei partiti e della esasperata personalizzazione della politica, la necessità di collocarsi nel solco di una cultura politica storicamente consolidata qual è la nostra, nel quadro del popolarismo cattolico-democratico.
L’inderogabile necessità che ancora ribadiamo, di rompere la tenaglia bipolare che soffoca il Paese, accresce il distacco tra il “palazzo” e la società civile, allontana pericolosamente gli elettori dalle urne. Piuttosto che la “democrazia dell’alternanza”, ci è stata somministrata la democrazia di una “permanenza” consonante e conveniente a ciascuno dei due poli che in tutti i modi cercano di chiudere a doppia mandata ogni porta di accesso all’agorà della politica. Insomma, a meno che personaggi ed interpreti degli ultimi tre decenni non vogliano arroccarsi in una difesa pregiudiziale di questa infelice stagione, la diagnosi non è così impervia. E perfino alcune linee essenziali della possibile terapia si lascerebbero intuire se il “sistema” non si barricasse nelle sue mura, quasi volesse tenere il
Paese in ostaggio, imprigionato nelle “segrete” del bipolarismo.
Per parte nostra, abbiamo sempre sostenuto come fosse necessario concedere agli italiani una legge elettorale proporzionale, cioè restituire loro una reale ed effettiva, sostanziale libertà di voto. Lo sostenevamo quando molti autorevoli “campioni” del maggioritario non avevano ancora compiuto l’inversione di marcia che – auspice il pur semplice buon senso che talvolta la vince nei confronti delle più sussiegose tesi politologiche di scuola – oggi vediamo ampiamente adottata.
Peraltro, la nostra “autonomia” non significa, in alcun modo, chiamarci fuori dal confronto politico. Se non con una nuova legge elettorale che, con ogni verosimiglianza, non ci sarà, il bipolarismo si rompe solo con un polo che, anziché “attovagliarsi” compiacente al centro fungendo da ammortizzatore tra destra e sinistra, in cambio di una discreta prebenda di strapuntini parlamentari, funzioni da momento dialettico ed alternativo ad ambedue gli schieramenti. Bisogna, insomma, trasformare il sistema e riportare in auge una dialettica politica effettiva.
Si tratta di capire – a cominciare da INSIEME – che ci sta a giocare una simile difficile e rischiosa partita, piuttosto che stare al gioco delle più comode ed immediate convenienze.
Domenico Galbiati