L’immigrazione è un fenomeno storico di grande portata. Si parla molto della necessità di governare il fenomeno ma le soluzioni prospettate denotano scarsa conoscenza del problema, delle sue radici e delle sue tendenze al punto che non meraviglia la povertà del dibattito pubblico che oscilla tra respingimenti e approcci emotivi. Sfugge così la portata dirompente del fenomeno che impone costi umani e sociali davvero insopportabili.

È necessario uscire da questo schema bipolare con una progettualità che promuova e attui, da una parte, giuste e realistiche politiche di accoglienza e integrazione e , dall’altra, le condizioni di sviluppo dei Paesi di provenienza degli immigrati.

Questo processo dovrà essere accompagnato da politiche di cooperazione per lo sviluppo nei paesi di origine. In mancanza di una convinta e seria politica alla cooperazione per lo sviluppo dei paesi più poveri il fenomeno migratorio sarà destinato ad aggravarsi.

Sul piano internazionale dobbiamo prendere atto del generale disimpegno – che neppure il cosiddetto Piano Mattei del Governo italiano sembra in grado di contrastare – ad incidere sulle cause della povertà dei popoli poveri che continuano a diventare più poveri mentre, sul piano interno, dobbiamo prendere coscienza che occorrono leggi degne della nostra Costituzione e, perciò, solidali, promozionali e non poliziesche.

Abbiamo bisogno di leggi degne della nostra Costituzione

Numerose sono le norme che disciplinano la migrazione verso l’Europa e al suo interno (1) il diritto nazionale, il diritto del Unione europea, la Convenzione europea per la salvaguardia delle libertà fondamentali e dei diritti umani, la Carta sociale europea e altri obblighi internazionali assunti dagli stati europei.

La Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) stabilisce all’art. 13 che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni stato, ma ha anche il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio e di ritornarci…”.

I medesimi principi sono ribaditi all’art.12 del Patto Internazionale sui diritti civili i politici (1966) laddove afferma che “ i suddetti diritti non possono essere sottoposti ad alcuna restrizione, tranne quelle che siano previste dalla legge, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche, ovvero gli altrui diritti e libertà, e siano compatibili con gli altri diritti riconosciuti dal presente Patto”.

La “riserva di legge”, che lascia agli Stati nazionali la libertà di scelta sulle politiche dell’accoglienza , mette in primo piano la contraddizione di affermare il diritto ad emigrare ma non quello di immigrare così come il diritto di asilo ma non quello di ottenerlo e, tutto questo, nonostante che lo ius migrandi è riconosciuto come diritto naturale universale.

In questo contraddittorio contesto viene concepita la Convenzione di Dublino del 1990 entrata in vigore nel 1997 e sostituita dal Regolamento n.343/2003,a sua volta sostituito dal regolamento n.604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26/6/2013,poi modificato il 29/6/2013. La forma definitiva ha preso il nome di Regolamento di Dublino III. È del 2001 la direttiva n. 55 relativa alla “concessione della protezione temporanea in caso di
afflusso massiccio di sfollati”, attivata per la prima volta nel caso dell’emergenza Ucraina.

Ebbene, nonostante le numerose direttive riguardanti gli immigrati (2) nessuna politica comune dell’immigrazione (e neppure dell’asilo) ispirata alla solidarietà è stata adottata. Anche il Patto europeo sulla migrazione e l’asilo (adottato nell’aprile di quest’anno dal Parlamento Europeo e nel maggio sempre di quest’anno dal Consiglio dell’UE)
ignora la solidarietà. Il Patto si fonda sull’ideologia della sicurezza nonostante che molti eventi ne mettano in dubbio l’efficacia se non proprio anche la ragionevolezza.

Seguendo questa logica è prioritario ridurre gli arrivi, fermare i cosiddetti “movimenti secondari” tra gli stati membri, rimpatriare rapidamente le persone a cui è stata respinta la domanda di asilo, impedire la possibilità di interagire con le comunità locali (per esempio collocando le persone nei centri di detenzione ai confini); impedire di fatto l’accoglienza e l’integrazione possibile.

La nozione di solidarietà del legislatore europeo è intesa come solidarietà tra stati membri che significa offrire di ricollocare nel proprio territorio i richiedenti asilo dagli Stati membri, offrire sostegno finanziario o logistico allo stato membro o a un paese terzo al di fuori della Ue.

In Italia le cose non stanno meglio: si privilegia l’inasprimento delle pene nei confronti degli “scafisti”, la semplificazione delle procedure per l’esecuzione dei decreti di espulsione, la costruzione di nuovi centri di permanenza per i rimpatri anche su territorio straniero ( Albania), la limitazione dell’applicazione della protezione speciale riconosciuta agli stranieri che hanno imparato l’italiano e lavorano, mentre l’ingresso legale in Italia è limitato al “decreto flussi” per l’ingresso di lavoratori senza che nessun Governo abbia messo mano alla legge Bossi-Fini. E da ultimo il Ddl Sicurezza già approvato da un ramo del Parlamento che prevede addirittura di
vietare agli immigrati senza permesso di soggiorno l’uso del cellulare e il possesso della carta telefonica sim.

In tema di cooperazione allo sviluppo è necessario rivedere i meccanismi della finanza internazionale, del commercio, dell’economia, la fine del debito estero e una maggiore giustizia ambientale e sociale così da evitare che i flussi finanziari diretti verso i paesi poveri e produttori di fonti energetiche siano minori di quelli che seguono il percorso inverso.

I meccanismi escogitati sono noti: la segretezza dei paradisi fiscali, evadere le tasse e attingere ai contributi pubblici, realizzare inutili progetti faraonici nei paesi poveri e scaricare il costo sul loro debito pubblico , mascherare i sussidi alle nostre imprese da cooperazione internazionale allo sviluppo, il pagamento del debito estero del paesi poveri
del Sud del mondo e dei suoi interessi.

A ben vedere si tratta di investimenti – se tali possono essere chiamati quando trascurano i problemi ambientali e sociali causati alle popolazioni locali – che hanno lo scopo di assicurare l’acquisizione a basso costo delle materie prime necessarie alla nostra economia.

Cambiare questo sistema predatorio si può, anzi si deve, ma a condizione che il nostro sistema economico e finanziario sia pre-disposto a condividerne gli effetti, in termini di minori profitti ma in cambio di maggiore giustizia.

Un decalogo per governare le (im)migrazioni 

Noi crediamo che chi fugge dalla guerra, dai disastri naturali, dalla povertà abbiano diritto ad un’altra Solidarietà , che Noi siamo in grado di offrire, che tra l’altro non ce la dobbiamo neppure inventare perché sta scritta nella Costituzione e nella Dottrina sociale della Chiesa.

Noi pensiamo che si debba agire su più fronti:
1) Agire sulla protezione speciale
Per tutti i richiedenti asilo occorre anzitutto garantire i bisogni primari come il cibo, l’alloggio e assistenza sanitaria. E’ necessario che le procedure di asilo siano celeri, chiare e trasparenti. E’ necessario garantire il rispetto degli standard internazionali sui diritti umani. La detenzione è contro il senso di umanità e nasconde una sostanziale incapacità di comprendere e gestire il fenomeno migratorio.
Occorre quindi abbandonare la “politica muscolare” per attuare condizioni di accoglienza dignitose.

2) Agire sulla solidarietà (solidarietà viene da “solido”, che dà l’idea di comunità)
E’ certamente necessaria la condivisione della responsabilità tra gli Stati membri; quindi occorre ricollocare e condividere gli oneri. Ma non basta, occorre coinvolgere le comunità locali, la società civile; valorizzare le iniziative di base, le buone pratiche di accoglienza, integrazione e formazione.
Occorre passare dall’accoglienza spontanea (che serve perché dettata dal cuore, ma non basta) all’accoglienza organizzata ,efficace ed efficiente in grado di durare nel tempo. Serve il cuore ma anche la ragione. Sono i programmi di reinserimento che si devono pensare e attuare piuttosto che i rimpatri forzati e la detenzione.

3) Agire sulle politiche di integrazione e inclusività
Noi proponiamo un nuovo modello di accoglienza, in cui siano i cittadini, le comunità locali a farsi carico della solidarietà e della possibilità di integrare le persone e le famiglie immigrante. Noi crediamo che per favorire l’integrazione dell’immigrato e della sua famiglia sia necessario creare una rete informale gestita da cittadini, per favorire e costruire legami di reciproca fiducia.

4) Ripristinare la figura dello sponsor aiuta ad accogliere e integrare

Occorre favorire scambi interculturali, formazione e opportunità di lavoro. Occorrono politiche che sostengano il ricongiungimento delle famiglie; occorre proteggere i più vulnerabili; le donne incinte, i bambini e le persone ammalate.

5) Agire sulle cause delle migrazioni
Anzitutto serve la Pace. Se continuiamo a risolvere i problemi facendoci guerra  avremo sempre più poveri, miseria, carestia e… immigrati.

E’ necessario poi rivedere i meccanismi della finanza internazionale, del commercio, dell’economia. I meccanismi escogitati sono noti: la segretezza dei paradisi fiscali, evadere le tasse e attingere ai contributi pubblici, realizzare inutili progetti faraonici nei paesi poveri e scaricare il costo sul loro debito pubblico , mascherare i sussidi alle nostre imprese da cooperazione internazionale allo sviluppo, il pagamento del debito estero del paesi poveri del Sud del mondo e dei suoi interessi.

Tutto questo non va nella direzione dello sviluppo e della stabilità nei paesi di
origine dei migranti; questa si chiama cooperazione predatoria.

6) Istituire un osservatorio permanente in grado di raccogliere ed elaborare dati per comprendere le cause (interazione tra diversi fattori economici, politici, sociali e culturali ), i bisogni e le aspettative degli immigrati che sono anzitutto persone, famiglie, comunità. I dati raccolti servono per le politiche del lavoro, della cultura, dell’istruzione e della formazione, della cittadinanza politica e sociale.

7) Occorre far emergere il molto “sommerso” dell’economia e del mercato del lavoro per la regolarizzazione del lavoro “nero” degli immigrati.

8) Al paternalismo assistenziale si deve rispondere con strategie di promozione di pari opportunità di cittadinanza politica e sociale.

9) In questa prospettiva il caso Ucraina insegna e può costituire l’avvio di un virtuoso processo. Ricordo (per inciso) che i profughi dall’Ucraina:
 sono esentati dall’obbligo di presentare domanda d’asilo e dal dimostrare di essere davvero rifugiati;
 non devono fermarsi al primo Paese d’ingresso ma possono attraversare liberamente le frontiere interne e scegliere il luogo in cui fermarsi;
 hanno accesso immediato al mercato del lavoro e ai servizi sociali.

10) Governare il fenomeno migratorio significa, in definitiva, attivare processi coerenti con il
percorso tracciato dai quattro verbi di Papa Francesco: “ accogliere, proteggere, promuovere e integrare “ e creare le condizioni di sviluppo dei paesi di provenienza degli immigrati non solo perché diminuiscano i flussi di ingresso ma anche per favorire il ritorno al proprio paese di coloro che lo desiderassero.

Primo Fonti

(1)Le più significative:
– la dichiarazione universale dei diritti umani del 1948,
– il patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966
– La Convenzione di Dublino del 1990
– La direttiva n.55 del 2001 ( attivata per l’emergenza ucraina)
– Il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ( art.77-79-78-80-77-)
– La legge Bossi-Fini
– il D.L. 20/2023 – convertito in Legge n.50/2023 che ha riformato vari istituti del diritto d’asilo e
dell’immigrazione coerente con le restrittive politiche europee

(2) Come quelle del 2003 sui lungo soggiornanti (2003/109/CE) e sul ricongiungimento familiare (2003/83/CE), del 2004 sui cittadini UE e loro familiari, del 2008 sui rimpatri (2008/115/CE), del 2009 sui lavoratori altamente qualificati (2009/50/CE) e sulle sanzioni ai datori di lavoro che impiegano stranieri irregolari (2009/52/CE) e, ancora, del 2011 sul procedimento unico per il permesso di soggiorno e di lavoro (2011/98/UE) −

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