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INSIEME per l’Alternativa popolare e democratica. Molteni: riscrivere il futuro del Servizio Sanitario Nazionale

“Qui giace la bambina dai capelli turchini, morta di dolore per essere stata abbandonata…”. È l’epitaffio sulla tomba della Fata Turchina scritta nel libro di Pinocchio: può essere presa ad epigrafe del nostro SSN, morto di fatto da parecchi anni per abbandono e incuria colpevole.

La 833 aveva disegnato un Servizio Sanitario Nazionale, universale, che lasciasse alle spalle il precedente sistema mutualistico, ossia fondato su una logica assicurativa, per assicurare un insieme di servizi che promuovessero la salute – la prevenzione -, intervenissero con la cura di qualità, accompagnassero la guarigione o la cronicità con la presa in carico e la riabilitazione.

La traduzione organizzativa di questa innovativa prospettiva è stata dapprima incerta e a tratti anche confusa, poi, complice la prima crisi economica dei primi anni novanta del secolo scorso, è virata decisa verso forme di aziendalizzazione ibride, in nome di una migliore efficienza operativa e allocativa delle risorse: infine la devoluzione alle regioni – che hanno riprodotto, anche in peggio per dimensione burocratico -formale lo statalismo che pure volevano superare, – e la persistente crisi economicofinanziaria con il sotto-finanziamento sistematico e i conseguenti continui tagli al personale ha portato il SSN a rinnegare se stesso e quindi a scomparire.

Le importanti modifiche culturali e di aspettativa di salute che la società ha sviluppato dalla fine del secolo scorso, assieme ai grandi progressi scientifici e tecnologici che hanno consentito cure più efficaci a molte malattie prima incurabili all’interno di un meccanismo di prezzi governato sostanzialmente da grandi monopoli tecno-finanziari internazionali (“big pharma”), l’allungamento della vita media con conseguenti maggiori necessità di cura associato all’invecchiamento della popolazione determinato da un calo demografico costante, sono tutte concause che hanno portato il sistema al collasso che si stamanifestando nella sua evidente drammaticità attuale:
 Liste d’attesa infinite per esami e prestazioni,
 disequità sempre più accentuata nella popolazione e tra i territori,
 crollo dell’assistenza territoriale percepita a fronte di un numero crescente di servizi formalmente
istituiti,
 servizi di emergenza allo stremo,
 crollo della quantità e della qualità dei servizi per le popolazioni più fragili, e un malessere popolare così diffuso che fa fuggire sempre più professionisti non solo dal sistema pubblico, ma anche dalla professione, e che contribuisce a fomentare gravi episodi di violenza verso ilpersonale sanitario che si ripetono con sempre più frequenza.

E da ultimo, una concezione sempre più “statalista” del welfare, che ha ridotto gli spazi di azione del volontariato sociale, sempre più ingabbiato in onerose regole e procedure che solo le multinazionali possono permettersi di mantenere (e sulla cui utilità̀, bisognerebbe interrogarsi con rigorosa onestà intellettuale).

L’abbandono, o meglio il tradimento, della 833 nasce però da più lontano, quando, sotto la spinta di una duplice pressione – il regionalismo da una parte e l’equilibrio finanziario da perseguire dall’altra – si sono introdotti i LEA (livelli essenziali di assistenza) con l’obiettivo di definire quali fossero i servizi assistenziali da garantire sull’intero territorio nazionale: forse…- non ci si è accorti che la loro traduzione fattuale in LEP, ossia Livelli Essenziali di Prestazione (guarda caso tornati agli onori della cronaca recentemente…) , ha riportato definitivamente tutto il Sistema Sanitario Nazionale all’interno di una logica assicurativa, già̀parzialmente reintrodotta con la aziendalizzazione, e che invece la 833 avevaprofeticamente superato.

Con i LEA e i susseguenti LEP, all’interno di una logica sempre più̀ prestazionale e assicurativa, ha preso ulteriore slancio la “medicina difensiva”, ossia la proceduralizzazione delle cure, che unita all’incessante sviluppo di un lucroso e luccicante mercato sanitario, ha definitivamente messo in crisi di sostenibilità l’intero sistema sanitario: abbastanza incredibilmente le politiche dell’ultimo ventennio in nome della difesa del SSN hanno desertificato tutte le attività̀ territoriali di prevenzione e promozione della salute, gli interventi di lungo assistenza e la cura di cronici e fragili (ossia tutti settori a basso livello di prestazioni e a elevato impegno di relazioni di cura) e hanno accentuato la corsa – dissennata perché non temperata all’interno di una relazione di cura – verso una tecnologia sempre più ardita e disumanizzante, oltre chesempre più costosa.

Le conseguenze sono visibili a tutti: importanti, ma quantitativamente poche super-eccellenze ospedaliere, una buona tenuta degli interventi di cura mediamente più complessi, una quasi totale desertificazione dei territori resa più cupa da un simmetrico aumento di procedure burocratiche fine a se stesse, per giunta anche costose, una sempre più marcata solitudine delle persone, proprio di quelle ammalate e fragili, cui il “doctor google” non basta quando la tecno-scienza non riesca a risolvere il problema di salute.

Curiosamente, le ultime cure proposte per guarire il SSN continuano ad andare in direzione opposta a quella necessaria ( speriamo solo per ignavia…): aumento del volume delle prestazioni e dilatazione teorica di ogni forma di prestazione in tutti i momenti della settimana, continua rincorsa verso una messa a disposizione di nuove tecnologie (anche IA) che contribuiranno a rendere ancora più forte il “mercato sanitario” spingendolo definitivamente verso un modello di business B to C (business to consumer) intermediato sul costo dai soli sistemi finanziari e assicurativi, saltando quasi del tutto le relazioni di cura, creando così le condizioni perché la logica universalistica sia ritenuta dalla stessa popolazione un ostacolo inefficiente e costoso: sarà resa allora più facile anche in Italia l’introduzione di un sistema integralmente commerciale per la gestione della salute: la salute come bene di consumo.

Consapevoli delle enormi difficoltà e dello sforzo necessario per introdurre una possibile alternativa a questo modello “business oriented” e di mercificazione di un bene come la salute che domina in maniera transnazionale tutto il mondo occidentale, INSIEME si propone di offrire spunti e contributi per riscrivere l’organizzazione dei Servii Sanitari, nello spirito della legge 833, tenendo conto dei cambiamenti tecnoscientifici e culturali dell’attuale momento storico e sociale e promuovendo una sostanziale riscrittura tecnica della legge istitutiva del SSN (ben consapevoli dei rischi politici di una simile ardimentosa iniziativa)

Il Sistema Sanitario deve essere organizzato per poter operare sul piano logico e gestionale, non certo su quello funzionale, tramite una distinzione anche istituzionale tra Medicina Reattiva e Medicina Preventiva/Pro-attiva. La MEDICINA REATTIVA è quell’insieme di attività̀ di cura e di intervento finalizzate alla guarigione che si mettono in atto di fronte all’evidenziarsi di una malattia, di un evento lesivo acuto, traumatico o meno, e si estrinseca tramite le attività cliniche
 dei sistemi/dipartimenti di emergenza/urgenza -integrati tra territorio e presidi ospedalieri –
 delle divisioni/dipartimenti ospedalieri che, per il tramite delle reti di patologia, si connettono per la fase iniziale e per il “discharge” post-acuto con il territorio, anche attraverso il terminale delle Case della Salute, laddove esistenti, in un sistema di continuità assistenziale.

La MEDICINA PREVENTIVA/PROATTIVA è quell’insieme di attività di cura per accompagnare il divenire delle persone nelle fasi più critiche e fragili della loro esistenza o quando le malattie non sono “guaribili”: periodo periconcezionale/perinatale e infanzia/pre-adolescenza, disabilità, patologiecronico-degenerative, anziani e fragili, fasi terminali della vita.

Il fulcro di questa attività è il rapporto di cura tra il medico, o meglio tra il team dei professionisti sanitari che opera assieme a lui, – la medicina moderna esiste solo in una logica di team multi-professionale dove ogni operatore va valorizzato e responsabilizzato per concorrere a raggiungere l’obiettivo di salute, – e il paziente: prestazioni specialistiche, terapie, vaccini sono strumenti a disposizione, ma ben più importante è il sistematico rapporto “educativo” e di “cura” che può essere efficace solo in una relazione fiduciaria (le prescrizioni educative vincolanti sono proprie dei regimi totalitari, poco importa se finanziari o politici), anche utilizzando tutti gli strumenti tecnologici disponibili.

Il necessario e sostanziale rapporto con l’ambito della “medicina reattiva” deve essere sviluppato all’interno delle “rete di patologia” che non devono essere meri sistemi procedurali organizzativi, ma modalità di interscambio tra due terminali distinti (medicina proattiva e di iniziativa e medicina reattiva) necessariamente interconnessi per il medesimo fine da perseguire tramite percorsi condivisi e procedure validate da “outcome di salute nel real word”, all’interno di una logica di sostenibilità.

Gli OSPEDALI sono lo strumento organizzativo principale della “medicina reattiva”: vanno distinti in
 “Ospedali a rilevanza nazionale”, ossia Policlinici Universitari, IRCCS, Grandi Ospedali Metropolitani e/o sovra-Regionali, tramite criteri di riconoscimento unitari a livello nazionale,
 “Ospedali territoriali e regionali”, per coprire le necessità del territorio regionale, tenendo conto anche della geografia dei territori, dei flussi viabilistici e della necessità di non lasciare soli e isolati territori poco popolati o più poveri economicamente.

Gli ospedali “nazionali” sono il fulcro della attività di ricerca e innovazione finalizzata alla traslazione su tutta la rete ospedaliera delle conoscenze e delle sperimentazioni di successo, oltre che della formazione: devono necessariamente agire “in rete” con gli altri ospedali della regione: se mantengono queste finalità costitutive saranno vere “aziende autonome” a finanziamento nazionale anche con orizzonti di eccellenza internazionale; gli ospedali territoriali/regionali sono “aziende atipiche” del sistema regionale, diffusi o accentrati in relazione alla conformazione dei territori e a specifici indirizzi di politiche regionali.

Il sistema di emergenza/urgenza deve essere unico e integrato sia con il territorio che tra ospedali, con pianificazione e organizzazione a livello regionale, ma con regole di sistema definite a livello nazionale che non consentano disequità: di fatto devono essere strutture organizzative che pur agendo anche all’interno degli ospedali sono da essi in parte autonomi e devono saper valorizzare tutto il prezioso volontariato territoriale tutt’ora esistente e ad esso funzionalmente interconnesso.

La medicina preventiva/proattiva è organizzata a livello distrettuale, aggregati in entità territoriali più ampie (le Unità Socio-Sanitarie): i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, preferibilmente associati, con IP e personale assistenziale, terapisti e psicologi sono il fulcro dell’ambito territoriale; all’interno della medicina preventiva/proattiva operano anche le Farmacie di Servizi, nei limiti e nei vincoli della programmazione distrettuale e regionale.

La Unità Socio-Sanitarie Locali deve avere a pieno titolo nella loro “governance” rappresentanti delle realtà locali e deve essere loro consentita una “politica di iniziativa” aggiuntiva, purché coerente con le regole regionali generali di sistema, e una temperata autonomia decisionale, superando la attuale stretta dipendenza regionale che le ha trasformate, molto spesso, in vassallaggi strumentali al governo politico regionale: le grandi città metropolitane con i loro territori di aggregazione, possono suddividere funzionalmente la loro Unità socio-sanitarie territoriale, mantenendo però un governo e un indirizzo unitario.

Alla regione spetta, come costituzionalmente previsto, il compito di definire i dettagli organizzativi e i relativi modelli di “governance territoriale” (nei vincoli nazionali generali), nonché le modalità di sviluppo delle reti di patologia, le aggregazioni funzionali tra ospedali e il governo del sistema delle urgenze/emergenze, le sinergie inter-regionali da sviluppare e le modalità di collaborazione e sviluppo con le gradi aziende ospedaliere nazionali insistenti sul proprio territorio

La attività di medicina preventiva/proattiva va finanziata per quota capitaria con aggiunte di “bundle payment” per specifiche attività dirette a specifiche tipologie di pazienti o fasce di età, anche come medicina di iniziativa, all’interno di una cornice di piano sanitario pluriennale di sanità pubblica integrabile a livello regionale, a cui concorrono pariteticamente in co-progettazione anche gli ETS, e a cui i territori possono aggiungere risorse aggiuntive in relazione a specifici obiettivi locali da perseguire o potenziare.

La compartecipazione alla spesa dei cittadini va rivista, distinguendo la cura e la presa in carico delle patologie acute e croniche o di specifici momenti del ciclo di vita, da tutelare sempre e comunque, dalla cura delle patologie intercorrenti guaribili al domicilio, attualizzando il dettato costituzionale circa la gratuità delle cure proporzionale alla ricchezza posseduta, ivi compresa la compartecipazione alla spesa farmaceutica e dei presidi: la dispensazione di farmaci e presidi, specie per le terapie croniche, va razionalizzata anche nelle modalità di dispensazione e di commercializzazione delle unità posologiche, dando vigoroso impulso anche alle nuove opportunità date dalla telemedicina e dai sistemi informatizzati: auspicabile un modello europeo di confronto e governance con le multinazionali dell’industria farmaceutica e delle tecnologie e presidi biomedicali per evitare un confronto impari tra domanda e gestione dei prezzi.

La scelta verso la sanità privata deve essere sempre possibile per il cittadino: è un suo pieno e legittimo diritto. In un sistema a tutela universale devono però essere equamente e doverosamente distinti gli ambiti di azione e le rispettive responsabilità. Il SSN, all’interno del quale trovano spazio e uguale dignità̀ e condizioni di azione anche le strutture del privato accreditato purché cooperino per le attività̀ proprie del SSN anche contribuendo alla loro coprogettazione, e il Sistema Sanitario Privato sono due ambiti distinti e separati che non devono consentire passaggi opportunistici tra i due sistemi, né di personale né di prestazioni: il SSN è un modello universalistico di promozione e cura della salute, il sistema privato è un legittimo modello commerciale di erogazione di attività sanitarie “business oriented”: il cittadino che opta per un sistema privato assicurativo, a parte le attività conseguenti ad emergenze-urgenze sempre da garantirsi a tutti e gli interventi di promozione della salute, non può usufruire quando gli conviene – stile “cherries picking” – delle attività dispensate dal sistema universale, parimenti le strutture che erogano servizi sanitari che optano per un sistema sanitario privato non possono agire ruoli di erogatore nel sistema pubblico, men che meno selezionare specifiche attività da accreditare con il SSN.

Compito del livello nazionale è
 la definizione per macro-obiettivi di un Piano Sanitario Nazionale pluriennale
 la programmazione dei Livelli Essenziali di Assistenza ridefiniti a partire dal ripensamento
organizzativo proposto e dagli obiettivi di realistica implementazione dei servizi sanitari in
relazione alle risorse disponibili (va posto fine all’irresponsabile malvezzo politico di definire
obiettivi da raggiungere senza prima definire le risorse da aggiungere o da reperire)
• la definizione del livello di finanziamento da devolvere a livello regionale coerente con i macro
obiettivi stabiliti, con i costi reali e non fittizi e con la stratificazione della popolazione per livelli
di bisogni.
 promozione di azioni di educazione generale alla salute definendone obiettivi di lungo periodo,
realistici e coerenti con le evidenze scientifiche e con le risorse disponibili, da promuovere e
personalizzare in relazione ai contesti e alle diverse fasi della vita, in collaborazione con le regioni
e gli enti del terzo settore, oltre che con specifici settori esperti in formazione anche usufruendo
delle tecnologie con un uso accorto anche dei social media.

All’origine del percorso di riorganizzazione proposto, sta il nostro convincimento che la Salute oltre che un diritto è prima di tutto un “dono” (anche per chi non crede, la roulette genetico/biologica e gli “accidenti” del vivere prescindono quasi totalmente dalle scelte del singolo) e non è primariamente un bene commerciale: e come dono è da conservare con condotte e scelte di vita responsabili.

Anche la malattia, nonostante tutti i doverosi e continui sforzi tesi a sviluppare nuove forme di terapia e modalità di cura, di riduzione del dolore, della sofferenza, e a strutturare modalità di accompagnamento della disabilità rispettose anche delle scelte individuali, è una condizione del vivere, spesso ineliminabile, e che è parte del percorso esistenziale di ogni persona.

Senza una serena visione antropologica che definisca la cornice del nostro esistere, liberandolo da tanti falsi miti che lo rendono a volte insopportabile, ogni riforma, anche la più virtuosa e dotata di risorse è condannata al fallimento.

Un movimento politico nuovo che non sta “tra i Poli”, ma che si propone di aprire nuove vie per dare cittadinanza in tutti i campi del vivere alla multiforme bellezza delle tante diversità che abitano le nostre città e i nostri territori, deve avere il coraggio di fondare le proprie proposte concrete di riforma dentro una cornice coerente con la propria antropologia di riferimento: il nostro riferimento è il Personalismo di ispirazione cristiana che mettendo al centro l’uomo e la sua libertà davanti ad ogni altro interesse, può essere una piccola luce di umana e cristiana speranza in questo inizio secolo buio e tempestoso, affascinato solo da sogni di potere onnipotente e conseguentemente privo di pietà e umana compassione.

Massimo Molteni

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