Nell’ultimo ventennio del Seicento, una celebre battaglia – quella degli Antichi contro i Moderni – fece furore nei principali paesi europei, in Francia, in Italia e in Inghilterra. Una battaglia in cui la materia del contendere era squisitamente culturale e politica. Tutto ruotava attorno ad un quesito di grande significato storico: erano gli Antichi stati cosi grandi, raffinati e civili da aver fornito modelli e canoni di arte, poesia, pensiero, tanto imperituri da mettere i Moderni nella condizione di poter solo imitarli? O, se mai avessero voluto tentare di imitarli, o addirittura di guardare più lontano di loro , nella necessità di arrampicarsi come nani sulle spalle dei giganti che li avevano preceduti?
La storia dei successivi tre secoli sembra aver ostinatamente tentato di negare questa insuperabile grandezza, e dato invece dato ragione ai Moderni. I quali dapprima, con l’Illuminismo, combatterono contro la tradizione una implacabile “crociata”. E che poi, nei secoli successivi, ha visto i Romantici, ed infine i Rivoluzionari, che non hanno mai mirato ad altro se non a distruggere il passato.
Ma fu vera gloria? Oppure ha ragione Jonathan Swift che creò «l’emblema più completo” di quella inesauribile disputa quando – nel suo The Battle of the Books – fece dire a Esopo che gli Antichi erano come le api, che traggono dalla natura il miele che esse producono; laddove i Moderni, alla maniera dei ragni, attingono ai loro escrementi il filo con cui tessere la propria scienza.
La nuova disputa delle Api e dei Ragni
Non è difficile, sul finire di questo tragico anno 2023, immaginare i nuovi termini in cui quella storica controversia sembra essere stata riaperta. Già in un precedente articolo abbiamo visto come il dibattito sulla più ambiziosa e recente creatura della modernità – l’Intelligenza Artificiale (A.I.) – stia oggi riproponendo un radicale alternativa culturale e politica tra chi promuove lo sviluppo del pensiero potenziato dalle macchine (possiamo chiamarli i nuovi Moderni?), e chi invece (i nuovi Antichi?) sostiene la necessità di porre limiti all’espansione indefinita delle possibilità creative della mente (CLICCA QUI).
L’intelligenza artificiale – è un dato evidente ed incontestabile – pone alla società degli umani un interrogativo di insuperabile gravità. Migliorerà essa il mondo, ovvero lo porterà verso dimensioni e territori inabitabili per l’uomo? Oppure infliggerà al suo ambiente naturale danni tanto gravi da provocare, al limite, la distruzione della specie umana?
L’angoscia suscitata da questo interrogativo nella fragile psiche di ogni uomo e di ogni donna ha dato il via, a partire dalla comparsa di ChatGPT, ad un confuso clamore di voci divergenti cui contribuiscono non solo gli utenti di questo primo chatbot, e degli altri che ad esso hanno fatto seguito, ma anche gli accademici, e persino alcuni politici. Cosicché talvolta, sul dilemma se le nuove tecnologie debbano essere controllate o lasciate in una sorta di libertà vigilata è scontro aperto non solo tra coloro che avrebbero a vario titolo ragione di intervenire per regolare tale questione, ma persino tra gli stessi fondatori di Silicon Valley.
E non si tratta di una controversia solo di interessi economici e quindi di ideologia sociale, di una contrapposizione tra haves ed have-nots. Al contrario, essa ha messo l’uno contro l’altro alcuni dei miliardari più miliardari del mondo. Qualcosa che ancora pochi decenni fa, in un mondo in cui le classi subalterne osavano ancora sfidare quelle economicamente egemoni, era del tutto impensabili. Così come impensabili sarebbero state certe recenti prese di posizione, come quella di Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, che si pone quasi ad arbitro, assiso tra gli schieramenti attualmente contrapposti: quello di chi sottolinea i pericoli dell’Intelligenza Artificiale, contrapposto a quello di chi guarda in maniera ottimistica alle possibilità che essa offre.
A livello internazionale, come al livello della California meridionale – dove pulsa il cuore del dibattito – i due partiti presentano peraltro anche un altro elemento altamente paradossale. Perché le stesse persone che dicono di essere più preoccupate per l’A.I. sono poi quelle che appaiono più determinate a svilupparla, a dedicarvi le proprie risorse, in qualche caso anche cercare nuove ricchezze. E spiegano il proprio impegno con la ferma asserzione del fatto di essere i soli in grado di impedire all’Intelligenza Artificiale di mettere in pericolo il Pianeta e la vita.
Antichi umani, moderni algoritmi
Nel nostro paese, anche se la Premier italiana, ai primi di Novembre 2023, è partita alla volta di Londra per una riunione dedicata ai pericoli della A.I. dichiarando di “voler insegnare l’etica agli algoritmi”, i termini della disputa non sono ancora percepiti molto chiaramente. Tanto che Elon Musk è stato molto applaudito alla festa del partito da Giorgia Meloni, solo perché più tardi si scoprisse che la nostra Presidente del Consiglio è un po’ troppo antica per lui, che ha avuto un figlio con l’utero in affitto, e che negli Stati Uniti suscita critiche per la propria vicinanza ad alcuni esponenti filo-palestinesi. Eppure in Italia cominciano ad esserci i segni di una consapevolezza – assai “moderna” – del carattere politico della questione dell’Intelligenza Artificiale, tanto che attorno ad un giovane ingegnere elettronico, Federico D’Armini, si formato un gruppo dedicato specificamente agli “algorithms of power”, di fatto sul ruolo della AI negli affari mondiali
Ma è soprattutto a livello delle istituzioni di Bruxelles che è apparso – prima ancora che in America – il bisogno di regolamentare in termini politico-legislativi l’approccio dell’Europa all’intelligenza artificiale.
Il Regolamento specificamente a questa dedicato, approvato dal Consiglio e dal Parlamento Europeo il 7-8 dicembre 2023 , è infatti apparso necessario in primo luogo per garantire che lo sviluppo e la diffusione dell’intelligenza artificiale non vengano a ledere i diritti fondamentali dei cittadini. Diritti che. se nel Settecento erano parte fondamentale del patrimonio politico culturale di quelli che erano allora i Moderni, oggi – grazie proprio alle molte battaglie da questi vittoriosamente combattute – fanno ormai parte del nostro patrimonio tradizionale, del patrimonio che gli antichi umani sono decisi – come lo stesso Musk dichiarato di voler fare – a difendere dalla minaccia che potrebbe essere rappresentata dai moderni algoritmi che sono alla base della AI.
La scelta, esplicitata nel documento approvato a Bruxelles, di distinguere diversi gradi di pericolosità delle tecnologie legate all’Intelligenza artificiale, è anch’essa un’idea molto interessante, perché permette di distinguere una tecnologia dalla sua applicazione, definendo i diversi possibili contesti in cui la questione può porsi.
Ad esempio, la tecnologia del riconoscimento facciale, se applicata come strumento di identificazione alle dogane aeroportuali non presenta lo stesso livello di pericolosità della stessa tecnologia applicata tramite telecamere stradali dove la sorveglianza di massa presenta ovvi ed evidenti rischi di un possibile slittamento fuori dall’ambito della liceità. Ancora più importante è la messa al bando dei sistemi di profilazione e di ratings individuali. E qui la Antica Europa assai saggiamente si distingue dagli USA. e soprattutto dalla Cina che – si dice – lo utilizzerebbe per realizzare una sorta di punteggio sociale dei singoli cittadini. Così come da noi si fa, per gli automobilisti, per la patente a punti.
Europei “antichi”, Americani “moderni” ?
La difesa da parte dell’Europa di questo ormai “antico” principio – il rispetto della privacy – fa insomma letteralmente a cazzotti con quella che, almeno in apparenza, è parsa la tendenza culturale prevalente negli ultimi anni negli Stati Uniti. La tendenza a prestare estrema attenzione e rispetto alla diversità, ma anche a renderla pubblica e inserirla in una dinamica si separatezza e contraddizione. Tendenza, questa, spinta sino alla moltiplicazione degli elementi costitutivi di tali diversità, e della moltiplicazione delle distinzioni tipica del movimento wokista.
Una tendenza politico culturale sino ad oggi – o forse soltanto fino a ieri – decisamente prevalente, e considerata assai Moderna, negli Stati Uniti, nella fascia d’età tra venti e quarant’anni. Ma che da qualche settimana appare in difficoltà, di fronte al revival che – in questa secolare disputa – sembrano conoscere i valori degli Antichi, e quindi la voluta “cecità” della AI europea nei confronto della diversità
Partito dal femminismo “di ultima generazione” – assai diverso da quello degli anni settanta del secolo scorso – e dalla lotta per la parità di genere, il wokismo ha in primo luogo ripreso e sottolineato il concetto della Toxic masculinity : una teoria secondo il quale il maschio bianco (white male) sarebbe la storica radice, istituzionalizzata nel patriarcato, di tutti i mali di cui soffrirebbe la società occidentale a cavallo tra i due secoli. Ed una teoria da cui un codice comportamentale negli ultimi anni prevalente che non solo considera giustamente inaccettabile ogni segni di misoginia, ma condanna severamente persino l’essere fat phobic. Ad esempio, far difficoltà ad apprezzare donne obese come mannequins
E poi, dal rispetto della distinzione uomo donna si è passati all’obbligo di “attenzione” (woke) verso tutta una serie di fattori che consentono di individuare nuove “diversità”. Non solo minoranze “razziali” ma anche cultural-religiose, e soprattutto di genere LGBTQ+. Nonché a minoranze “nativiste, che hanno rapidamente dato vita agli “studi post-coloniali” e alla cancel culture ed infine alle dimostrazioni propalestinesi nelle università americane.
Dimostrazioni che hanno però provocato – e stanno ancor di più provocando – reazioni fortissime; non solo nelle università, ma nel mondo intellettuale in generale, che tra non molto potrebbero togliere all’approccio wokista ogni pretesa di modernità vittoriosa. E potrebbero restituire l’alloro agli Antichi europei, dimostratisi attenti a costruire l’intelligenza del futuro sul canone della natura strettamente privata della diversità e della condivisione sociale di quello dell’eguaglianza.
Giuseppe Sacco