Che in molti casi si debba fare affari con paesi retti da regimi autoritari o non democratici è del tutto scontato. Commercio, materie prime, risorse energetiche, blocco dei migranti, ammesso che riesca, sono molte delle ragioni che spiegano tante vicende dei nostri giorni che affondano nel passato più che millenario della storia umana.
Ma c’è sempre modo e modo. E la questione dell’opportunità e dei modi con cui si fanno le cose, è tornato prepotentemente d’attualità con il viaggio di Ursula von der Leyen in Egitto accompagnata da Giorgia Meloni e dai rappresentanti di alcuni altri paesi europei, come Cipro, Austria, Belgio e Grecia. La conclusione è che, complessivamente, al regime del Cairo, saranno concessi dell’Unione europea finanziamenti e linee di credito per 7,4 miliardi di euro fino al 2027.
Le fonti ufficiali ci dicono di un “partenariato globale e strategico“. Dell’intenzione di “accompagnare” le riforme economiche e sociali dell’Egitto e, soprattutto, rafforzarne le capacità di controllo delle frontiere terrestri e marittime con l’obiettivo di fronteggiare l’emergenza migranti. Il modello è quello già avviato con la Tunisia, ancora fermo al palo, e con lo sfondo dell’immaginifico “Piano Mattei”. Poi, ma su questo c’è più riservatezza, sempre sullo sfondo, resta lo sfruttamento dei grandi giacimenti petroliferi rilevati di fronte alle coste dell’Egitto.
Giorgia Meloni ha annunciato: “Stiamo lavorando per lanciare un’alleanza internazionale per la lotta contro i trafficanti di esseri umani“. Come non apprezzare questo intendimento diretto sul piano pratico a rendere sempre più difficile una delle cose più vergognose e disgustevoli del nostro mondo contemporaneo, qual è quello della tratta dei migranti. E come non sottolineare la necessità che si allarghi la collaborazione mondiale per il ristabilimento del diritto in sempre più ampie parte del globo terracqueo.
Andrebbe tutto bene, salvo che già c’è chi a Strasburgo chiederà conto di tutti questi soldi concessi a quello che è considerato da molti europei uno stato antidemocratico. E se la questione non riaprisse una ferita ancora dolorosa aperta proprio tra l’Italia e il regime di al Sisi: la morte del giovane Regeni. Sappiamo tutti delle vicende giudiziarie e di tutte le azioni messe in atto dalle autorità del Cairo per nascondere e proteggere gli uomini del loro servizio segreto indagati per la orrenda, ed ingiustificata, uccisione del nostro giovane connazionale. In Egitto per condurre degli studi di carattere sociale.
Viviamo nel pieno del sentimento nazionalistico e quotidianamente sottolineiamo la “dignità” del nostro Paese, dei suoi cittadini e dei suoi prodotti. Il caso Regeni, dunque, non può essere dimenticato mentre continua il sabotaggio da parte del Governo egiziano di un processo nel corso del quale sono davvero assicurati tutti i diritti garantiti alla difesa.
Nell’ennesimo bilaterale Meloni – al Sisi non si è parlato di questo. Eppure, c’è un precedente che ha fatto storia. Quello per il quale il colonnello Gheddafi si decise a consegnare i responsabili libici dell’attentato che costò la vita a 270 persone sul volo di un aereo Pan Am, era il 21 dicembre 1988, precipitato a causa dell’esplosione di una bomba a Lockerbie in Scozia. Solo dopo quella consegna Gheddafi, che pure aveva un ben diverso spessore rispetto ai tanti capi e capetti del mondo arabo di oggi, comunque si voglia giudicare il Colonnello, venne momentaneamente riaccolto nella comunità internazionale. Forse, sarebbe il caso che mentre si consegneranno i 7,4 miliardi degli europei, si dicesse all’autocrate egiziano di riflettere su quel precedente.
Così, forse, un pò di “dignità” nazionale la si recupererebbe davvero. Ma le reticenti ed imbarazzate dichiarazioni di ieri sera di Giorgia Meloni non fanno affatto sperare che la questione Regeni diventi davvero un’occasione per farla rispettarla questa nostra dignità. Oltre che assicurare piena luce sul criminale omicidio costato la vita ad un italiano in terra d’Egitto.