Una “Europa con l’elmetto”, decisa a riarmarsi e ad assumere il ruolo di potenza regionale una strada possibile per dare finalmente all’ Europa un denominatore comune, il fine comune che manca ? Molti, non solo Conservatori e Riformisti, lo pensano e pure lo dicono. Un “nemico comune” non è come il Covid-19 uno stimolo potentissimo alla solidarietà?
C’è addirittura chi come i Conservatori e Riformisti europei ( di cui è parte Fratelli d’ Italia) lo dice apertamente. Cambiare l’ Europa significa per questa forza combattere l’ Europa delle ideologie, del centralismo e della tecnocrazia in nome di una Europa coraggiosa e forte che non dimentica le sue radici.
Se diamo però un’occhiata al programma ufficiale in dieci punti di ECR pubblicato sul sito ( in lingua inglese) possiamo vedere quale è davvero il senso di questo CAMBIARE L’ EUROPA.
In estrema sintesi qui CAMBIARE L’ EUROPA significa essenzialmente, a nostro avviso, questi tre obiettivi così delineati dal documento:
1)” La nostra è una visione coraggiosa e fondata sui principi liberal conservatori. Noi vediamo un futuro in cui l’ Europa prospera sul libero scambio, spingendoci in un’era di crescita economica senza precedenti . A immaginare un mondo in cui una prosperità guidata dal mercato”( punto ottavo del programma)
2) “….dirigere piuttosto le risorse verso l’implementazione e il rafforzamento della legislazione esistente , e modernizzando il panorama digitale dell’ UE, per stimolare innovazione ed investimento in tecnologie di avanguardia come INTELLIGENZA ARTIFICIALE,, 5 G, 6/G e calcolo quantistico. Ci batteremo per una cornice regolativa che favorisca una sana competizione ed imprenditorialità, sostenendo la libertà di impresa per ogni cittadino, salvaguardando l’autonomia fiscale degli Stati membri e la non interferenza nelle questioni fiscali” (punto sesto del programma)
3) “Ci impegniamo ad inaugurare un’era nuova di sovranità potenziata per i nostri Stati membri sfruttando gli obblighi dei Trattati UE come i principi di sussidiarietà e proporzionalità” ( punto primo delprogrammsa)
“ Rafforzeremo l’industria europea della difesa interagendo direttamente con le forze armate ed utilizzando risorse UE”( punto secondo del programma)
Tutto questo significa :
- perseguire una crescita economica essenzialmente affidata ai soli meccanismi di mercato e finanziari secondo i noti principi liberal conservatori alla Von Hayek, per cui si tratta di creare condizioni per attrarre i capitali. Come noto, se non ci sono altri mezzi, se c’è un debito alto, se non ci ono margini per gli interventi statali, ciò si può fare come in Italia da anni si fa, cioè svalutando il lavoro ed abbassando i salari. Non c’è nel documento alcun cenno allo spazio per le politiche economiche dei singoli stati ed ad una politica economica comune fatta dall’ UE che non ha attualmente competenze autonome in materia. Il debito buono comune è , in quest’ottica, un modo di “drogare” l’economia. E le politiche economiche dell’ UE sono aborrite da chi dichiara apertamente che si respinge “ogni centralizzazione non necessaria del potere a Bruxelles” ( punto primo). E’ sicuramente un programma conservatore, de è riformista come lo era il liberismo alla Milton Friedman introdotto nel Cile di Pinochet. Coi risultati evidenziati poi dalla storia. Una strada verso una lontanissima ( e miracolosa) “prosperità” lastricata di sacrifici e sofferenza a tempo indeterminato.
- Perseguire, senza se e senza ma, la strada delle trasformazioni tecnologiche e informatiche , con la certezza che la “crescita” economica perseguibile attraverso esse risolverà tutti i problemi e non ne creerà altri di nuovi. Nessun accenno al complicatissimo problema dell’ Intelligenza Artificiale per la quale l’ Europarlamento ha già preparato una normativa ( A.I. Act) a detta di molti esperti da rivedere, modificare ed integrare. Senza considerare gli enormi problemi culturali che la trasformazione tecnologi caci propone. Un po’ come se nell’Inghilterra del 1830/ 1840 di fronte allo tsunami sociale causato dalla prima rivoluzione industriale, ed alla moltiplicazione degli working poors, si fosse presentato un partito che proponesse PIU’ INDUSTRIA per risolvere i problemi dell’industrializzazione. La storia ci ha lasciato pochissimi documenti di questa follia che tuttavia colpì alcuni esaltati ( Andrew Ure e pochi altri).
- Potenziare la sovranità dei singoli Stati, utilizzando però come denominatore comune dell’ UE l’industria militare, l’unico settore per cui si prevede il finanziamento attraverso risorse UE ( chissà qui ci sarà il debito buono…) Questo però significa un mutamento radicale della costruzione europea.
E questo mutamento sarebbe decisivo . L’ UE regredirebbe ad una sorta di Confederazione Europea, come talvolta si dice anche apertamente e incoscientemente. Avremmo Stati membri sovrani liberi di agire isolatamente in tanti campi, ma tenuti insieme da un obiettivo militare comune, oggi da un nemico comune, domani chissà. Se così fosse saremmo evidentemente di fronte ad una trasformazione epocale della costruzione europea. Una innovazione certo radicale, dato che la costruzione europea, va detto, non è mai stata confederale. E’ stata invece qualcosa di molto diverso, un unicum storico che può e deve esser ovviamente riformato, ma di cui vanno salvaguardate le ragioni profonde.
Il fatto è però che tutte le Confederazioni conosciute dalla storia hanno senza eccezione alcuna sinora, fornito esempi di istituzioni deboli, conflittuali e fallimentari, laddove non si siano trasformate in altro ( come fortunatamente hanno fatto gli USA nel 1787 e la Svizzera nel 1848).
Ben lo sapevano i padri costituenti dell’ America, che era nata come Confederazione ma che ben presto avvertì, dopo la vittoria contro gli Inglesi, i problemi enormi e irrisolvibili che la Confederazione comportava ( il 1783-1787 è stato definito critical period). I padri costituenti costruirono le loro riflessioni a partire da una storia europea, moderna, medioevale e classica che essi conoscevano, per certi aspetti, forse molto meglio di tanti di noi oggi.
I padri costituenti americani, Alexander Hamilton, James Madison e John Jay, gli autori degli articoli poi confluiti nel “Federalista” si resero conto che l’unità contro il nemico esterno è una base insufficiente e disastrosa in una unione di Stati. Se ad ogni Stato è garantita in toto o quasi in toto la conservazione dell’intera sovranità, se non vi sono limitazioni intelligenti a questa sovranità, è difficile evitare i problemi che nascono dalle continue interferenze di una sovranità sulle altre sovranità, da un governo sopra altri governi, con gli effetti di un unanimismo paralizzante o anche- e questo è peggio anche se non lo avvertiamo- di usurpazioni degli Stati più forti su quelli più deboli. Le rivalità, i vassallaggi opportunistici, le litigiosità hanno sempre reso drammatica, se non tragica, la vicenda storica di ogni Confederazione o Lega dall’antichità in poi. Ed hanno generato quella debolezza e litigiosità interna che poneva queste formazioni sempre alla mercé delle grandi potenze esterne.
Nella straordinaria analisi storica contenuta nei testi americani, in particolare in tre articoli scritti da Hamilton e Madison nel dicembre 1787, vale la pena citare la storia di una Confederazione greca, la Lega Achea( 280 a.C.- 146 a.C.) che, nata per unificare le repubbliche litigiose della Grecia ( le poleis), finì poi per esser dilaniata dalle rivalità che spinsero le singole repubbliche a ricorrere, in contemporanea, all’una ed all’altra delle due grandi potenze dell’ epoca ( l’ Impero Macedone in decadenza, diviso in vari regni e l’Impero Romano nascente) per poi finire dissolta ed asservita ( in nome della “libertà” dei singoli Stati) alla potenza romana invocata in soccorso per contrastare l’influsso della potenza macedone.
Sarebbe interessante la lettura integrale di questo capitolo del testo, ma è utile e forse inquietante anche solo il leggere la descrizione dei caratteri di questa Lega Achea :
“ La Lega Achea come veniva chiamata un’altra unione di repubbliche greche ci fornisce un altro valido insegnamento. Le città che componevano questa lega conservavano una loro autonomia municipale, eleggevano i titolari di cariche pubbliche e godevano di una perfetta eguaglianza. Il Senato in cui esse erano rappresentate era il solo ad avere potere di pace o di guerra, di inviare ambasciatori di negoziare trattati o alleanze…. Sembra che tutte le città avessero identiche leggi e consuetudini, le stesse unità di peso e misura, e la stessa moneta…” ( Alexander Hamilton, James Madison, Il Federalista, n. 18, 1787, Torino, Giappichelli, 1997, pp. 120-121). Le rivalità tra le repubbliche della Lega finirono poi però per spingerne alcune a richiedere l’intervento dei Macedoni ed altre a richiedere quello dei Romani “ricorrendo al pericoloso espediente di introdurre eserciti stranieri in loro soccorso”, come ancora Hamilton e Madison scrivono.
In realtà non ce ne siamo resi conto, ma da qualcosa del genere è nata all’inizio la tragedia dell’ Ucraina. E forse anche per questo abbiamo difficoltà a delineare la via per la pace. Noi non riusciamo a distinguere la sua genesi entro il sistema delle relazioni internazionali e la consideriamo semplicisticamente come un prodotto inevitabile dell’ imperialismo confinante russo o del conflitto di due “imperialismi” rivali. In effetti la tragedia attuale dell’ Ucraina ha la sua prima genesi storica nelle vicende tragiche proprio di una Confederazione, in un certo senso una confederazione ereditata dall’ Impero zarista, prima l’ URSS, poi la CSI ( Confederazione Strati Indipendenti) del 1991 di cui l’ Ucraina era parte, era uno Stato confinante ad ovest con la attrattiva costruzione europea, ad est con uno Stato potentissimo ( la federazione russa) che certo non ne aveva garantito o difeso la specificità nazionale. Per lo Stato ucraino, invaso dal confinante più forte finiva per divenire inevitabile, come extrema ratio il ricorso ad “introdurre eserciti esterni” ( o ad armamenti esterni), con conseguenze oggi evidentemente potenzialmente inquietanti.
Per questo oggi una Confederazione dell’ Europa, simile alla vecchia CSI o ad altre, sarebbe la fine o comunque la decadenza fatale della costruzione europea, la rimozione delle sue radici, ed anche la fine di una possibile organizzazione della pace. Una “Europa con l’elmetto” sarebbe in fondo oggi il peggior tradimento dell’ europeismo in nome dell’europeismo. Un tradimento forse a favore ( pur senza mai dirlo) delle nuove ideologie o post-ideologie – quelle tecnologico finanziarie, come il fondamentalismo di mercato ed il trans-umanesimo- che nella loro onnipotenza promettono progresso indefinito, anche se “normalizzano” la guerra e possono allearsi a chi vuole una “Europa con l’elmetto”, attraverso i meccanismi del distanziamento umano e la distruzione della pericolosa e inconcludente “politica”. Un tradimento che è prima di tutto una rinuncia al coraggio vero, al coraggio e al dovere dell’intelligenza, che ordina al pensiero di costruire la pace, che era ed è l’obiettivo ed il cardine della costruzione europea. E ordina di costruirla come fondamento e come finalità della società umana.
Umberto Baldocchi