Si avvicina il 25 luglio e si impone una riflessione.
Conclusa la “tre giorni” di studio e riflessione, gli intellettuali cattolici che vi avevano preso parte lasciarono Camaldoli il 24 luglio del ‘43 – ottant’anni fa – il giorno prima della seduta del Gran Consiglio del fascismo, che, con l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi, decretò la crisi del regime e la caduta di Mussolini.
Questa coincidenza temporale è stata sottovalutata ed ha, al contrario, un rilevante significato simbolico accanto ad una valenza politica di straordinaria importanza, in particolare se letta con il senno del poi, cioè tenendo conto degli sviluppi della situazione politica nella fase immediatamente post-bellica e del ruolo che i cattolici vi hanno assunto.
Allora pochi o forse nessuno, probabilmente a cominciare dai diretti interessati, riteneva che sarebbe toccato ai cattolici il compito di guidare l’ Italia verso la democrazia e la ricostruzione materiale e morale seguita all’ ecatombe fascista. Ad esempio, da qualche resoconto relativo agli incontri che, in Arcivescovado a Milano, il Cardinal Schuster ebbe, nei fatidici giorni dell’aprile ‘45, sia con Mussolini che con la giunta del CLN, pare che da ambedue le parti si ritenesse pacifico che sarebbero stati i socialisti ad assumere la guida del Paese. Invece sono arrivati i cattolici.
Camaldoli è stata di una tempestività sorprendente, ma soprattutto ha rappresentato il momento di sintesi di una lunga, sofferta, ventennale fase storica che, estromessi dalla vita pubblica, ha consentito ai cattolici di studiare, di creare momenti e luoghi di pensiero e di costruzione, alla luce della fede, di un progetto politico letteralmente “rivoluzionario”.
Senza impazienza, senza ambizioni di potere, con la pacatezza e la ponderazione di chi viene da lontano e lontano vuole proiettare la propria azione hanno saputo donare all’ Italia la sua prima, vera esperienza di vita democratica.
Offrendo spunti di riflessione, anzi autentiche provocazioni anche a noi, oggi.
Domenico Galbiati