Nel clima incandescente creato dal dibattito sull’introduzione del salario minimo e le ripetute constatazioni di quanto il lavoro sia sotto pagato in Italia, giunge una sentenza della Corte di Cassazione che finirà per influire sul tema al di là di ogni decisione che la politica dovesse prendere su un tema sempre più scottante. Per i giudici della Cassazione il punto di riferimento che i magistrati devono seguire è quello dell’art 36 anche in presenza di contratti collettivi.
Il caso esaminato è stato quello di un lavoratore di una cooperativa a cui erano stati applicati, nell’ambito dello stesso appalto, diversi contratti per svolgere sempre le stesse mansioni ma con una diminuzione progressiva del corrispettivo.
La nostra Costituzione, si legge nella sentenza, ha accolto “una nozione di remunerazione della prestazione di lavoro non come prezzo di mercato, ma come retribuzione sufficiente ossia adeguata ad assicurare un tenore di vita dignitoso” e questa nozione “non è “interamente rimessa all’autodeterminazione delle parti individuali né dei soggetti collettivi”.
I requisiti di sufficienza e proporzionalità previsti esplicitamente dall’art. 36 “costituiscono limiti all’autonomia negoziale anche collettiva”, secondo i giudici della Suprema Corte i quali specificano: “pur con tutta la prudenza con cui bisogna approcciare la materia retributiva ed il rispetto della riserva di competenza attribuita normalmente alla autorità salariale massima, rappresentata dalla contrattazione collettiva, non può che ribadirsi perciò come i criteri di sufficienza e proporzionalità stabiliti nella Costituzione siano gerarchicamente sovraordinati alla legge e alla stessa contrattazione collettiva ed abbiano contenuti (anche attinenti alla dignità della persona) che preesistono e si impongono dall’esterno nella determinazione del salario”.
I salari determinati dalla contrattazione collettiva “possono essere disapplicati dal giudice ed il trattamento retributivo annullato e sostituito con uno più congruo, che rispetti il minimo costituzionale”.
La sentenza fa anche un riferimento alla questione del salario minimo a proposito del quale dicono i magistrati della Cassazione “l’aporia tra il trattamento retributivo previsto nella contrattazione collettiva e i contenuti precettivi dell’articolo 36 della Costituzione prodursi anche per il tramite di una legge che rinvii alla contrattazione” e tale contraddizione non è “del tutto idonea ad essere risolta con il solo sostegno alla contrattazione nazionale maggiormente rappresentativa (come ad es. nella legge 142/2001 e nella 1. n.31/2008), non potendosi mai escludere che il trattamento retributivo erogato in forza della stessa possa attestarsi nel caso concreto al di sotto del minimo costituzionale”.
CV