Per anni, ben 15, a Roma si è parlato dell’Ospedale San Giacomo come di un caso di mala sanità. Il nosocomio, collocato nel pieno centro di Roma, tra Montecitorio e Piazza del Popolo, fu chiuso illegittimamente il 3 settembre 2008. Tutta l’area centrale della Capitale si trovò senza Pronto soccorso e priva di una serie di reparti ospedalieri dei quali almeno un paio erano appena stati ristrutturati e resi più adeguati alle esigenze di un quartiere in cui vivono decine e decine di migliaia di famiglie.
Dopo tre lustri la Cassazione ha finalmente detto la sua sulla vicenda confermando che il grande complesso deve essere utilizzato come ospedale perché questa fu la volontà del Cardinale Antonio Maria Salviati che, sul finire del 1500, pose un vincolo ben preciso alla donazione fatta a favore dei romani bisognosi di assistenza sanitaria.
E’ stata la determinazione di Oliva Salvati, erede del cardinale, assistita in tutti questi anni dall’avv. Isabella Maria Stoppani, a rimediare ad un errore che si è perpetuato per tanto tempo dopo la prima sentenza sbagliata che non teneva conto del vincolo fissato dal cardinale oltre 700 anni fa.
La questione del San Giacomo era tornata di vivissima attualità con l’esplodere della pandemia da Covid -19 allorquando la chiusura di questo nosocomio e del Forlanini fecero toccare con mano i problemi che, come quella delle altre regioni, mostrava una sanità pubblica indebolita soprattutto nei suoi presidi territoriali e nella prossimità con le esigenze del popolo romano.
La Cassazione non è entrata nel merito di questo aspetto, ma la chiusura del San Giacomo, così di molte altre strutture ospedaliere, hanno fatto parte di una lunga stagione di distruzione della Sanità pubblica, in particolare per ciò che riguarda i posti letto e le strutture d’emergenza e di terapie intensiva, cose particolarmente emerse a seguito della pandemia.
CV