Popolo siamo tutti. Si dice anche collettività, nazione, gente, e altro. La scelta del termine da qualche informazione su chi lo usa. Un partito che non sia territoriale (come la Lega di Bossi che qualcuno definì un sindacato territoriale), di classe (il partito operaio) o con ideologie che escludano vaste aree sociali e valoriali, si rivolge a tutto il popolo. Si rivolge a tutti gli elettori, che possono anche comprendere persone non rientranti in alcune definizioni tradizionali di popolo.
Una azienda che entra in un mercato individua i target cui rivolgersi prioritariamente. Un’azienda ben inserita cerca innanzitutto di confermare la sua quota di mercato e sceglie a quali gruppi di consumatori rivolgersi per espanderla. Oggi le quote di mercato di un’azienda sono più stabili dell’elettorato dei partiti. Tuttavia anche un nuovo partito, che sia anche un partito nuovo cioè innovatore, deve decidere se sia bene rivolgersi in modo indifferenziato al popolo intero oppure se sia meglio indirizzarsi prioritariamente e/o con messaggi dedicati a gruppi sociali specifici. Non si tratta certo di farsi contagiare dal metodo della profilazione, che seziona la società invece di ricomporla.
Chi spaccia ideologie con mezzi che oggi non sono tanto l’abilità retorica quanto la ipersemplificazione, le fake news, la distrazione di massa, suggestioni e seduzioni che depotenziano i creduli, l’accanimento verso nemici più spesso di invenzione che effettivi, può sparare nel mucchio, o tarare i messaggi sugli elettori più agevolmente influenzabili con l’uno o l’altro argomento. Si può perfino invocare il “sacro dovere” di “difesa della Patria” (art. 52 Cost.) da profughi bisognosi e disarmati! (Qualcuno dovrebbe studiare la società senza vergogna).
Ma chi vuole rivolgersi a problemi reali, a esigenze effettive, e ascoltare preoccupazioni e proposte, desideri e paure, ambizioni e sfoghi (anche questi per capire dove nascono), allora deve conoscere e riflettere sulla composizione e la vita del popolo. Non mi riferisco a conoscenza sociologica, ma propriamente politica (che della prima può avvalersi) e a quella riflessione che è pensiero politico.
Un esempio. De Gasperi, nella sua ultima relazione a un congresso della DC (si era nel 1954, pochi mesi prima della morte) propose una ricognizione della società italiana, per settori innanzitutto (il mondo agricolo, quello industriale, quello del commercio e dei servizi) e poi nella stratificazione sociale all’interno dei settori. Questo perché “il partito non è una organizzazione fine a se stessa ma è un quadro organizzatore e animatore del corpo elettorale. Passiamo dunque ad analizzare i trenta milioni di elettori circa…”. Dopo la ricognizione De Gasperi procedeva: “La prima conclusione che si può ricavare da tali dati è che nessun settore preso come gruppo di interessi a se può ragionevolmente pensare di fare una politica autonoma e prevalente di gruppo…”. De Gasperi aveva in mente gruppi di interesse diversi da quelli odierni, ma il ragionamento non cambia. E quindi “le forze sono talmente distribuite che il coordinamento ossia quello che chiamiamo sintesi popolare, s’impone”.
Oltre ad affermare l’esigenza (di conoscere per costruire la sintesi popolare) è difficile andare in un intervento breve. Ma qualche esempio, di gruppi sociali che esigono (e politicamente meritano) più grande attenzione, si può fare.
In realtà sulla soglia troviamo gli astenuti, che sono (per il voto alla Camera del marzo 2018) il 27,1% degli elettori, e cioè 12 milioni e 582 mila elettori. Si tratta del primo partito italiano, perché M5S ha ottenuto 10 milioni e 698 mila voti.
Al primo partito, volendo, potremmo aggiungere circa un altro milione di elettori tra schede bianche e nulle.
A mano a mano che l’affluenza al voto calava, il confronto con altri paesi ci rassicurava che il nostro livello di partecipazione era comunque rilevante e non troppo allarmante. Tuttavia nel 1948 gli astenuti furono l’8%. Non dobbiamo dimenticare che una partecipazione elevata è un carattere costitutivo della nostra democrazia.
Ma chi sono gli astenuti? In quale lingua possiamo rivolgerci a chi ritiene che il diritto (e il dovere) del voto non meriti di essere esercitato?
Non trovo analisi approfondite sull’identità di questo partito. Ma nelle prime analisi dei flussi, all’indomani del 4 marzo 2018, l’istituto Cattaneo affermava che “nessuna forza politica compie significativi recuperi dall’astensione”. Qualcuno dovrebbe occuparsi del dovere civile di cercare gli elettori perduti.
Un’analisi qualitativa della Fondazione Magna Charta di poco precedente alla elezioni del 2018 (quindi con riscontri del 2013) individuava tre gruppi di astensionisti: i consolidati, gli infuriati (i più numerosi), i delusi. Dunque per ben più di un quarto degli elettori (più vicino a un terzo se si considerano bianche e nulle) occorre ricostituire la credibilità delle istituzioni e della politica. La politica deve andare in missione e imparare la lingua di tanti italiani.
Per mere ragioni quantitative metterei per secondo il gruppo degli over 65, che sono per così dire un gruppo anagrafico di maggioranza relativa. Oggi sono quasi un quarto degli italiani e nei prossimi decenni diventeranno un terzo. La politica tradizionale li guarda come pensionati. Durante questa legislatura il grande investimento politico (e di spesa) di quota 100, sovrastimò la voglia di fuga dal lavoro degli italiani. Del resto nel corso dei decenni ripetutamente si sono presentati alle elezioni partiti dei pensionati che non hanno attratto gli elettori a cui erano dedicati. Certo che la pensione è importante e incide nel profilo degli over 65, ma questi non sono solo pensionati, o solo pazienti, o solo nonni. Sono cittadini attivi o che vanno invitati ad esserlo.
Se i poveri sono il 9% degli italiani è possibile che siano una presenza sensibile tra gli elettori. Votano?
Il ceto medio è stato per decenni in Italia una condizione dinamica e una identità di speranza: stare meglio, farsi la casa, avere fiducia che i figli sarebbero stati meglio. Che cosa è rimasto di questa identità? Basterà la narrazione del PNRR e dei suoi risultati per risollevare il capo e riprendere il cammino?
L’identità operaia è frantumata. C’è chi lavora in grandi imprese stabili con salari più elevati, premi di produttività, innovazioni di welfare aziendale, e c’è chi lavora in piccole imprese con salari ben più modesti. Ci sono specialisti e tecnici anche laureati che stanno peggio di come stavano gli operai una volta. Poi ci sono i precari…
Non continuo questo elenco di gruppi sociali e di condizioni economiche ed esistenziali. Questa conoscenza degli elementi da portare a “sintesi popolare” si può cercare per settori (quanto mutati dalle osservazioni del 1954!), per fasce reddituali e patrimoniali, per studi compiuti, per nuove competenze e nuovi mestieri, per strutture relazionali (o solitudini), per pluralismo di culture, religioni e provenienze.
Tanto più in una società così complessa anche il politico, come chiunque intraprenda un lavoro, deve osservare la realtà (che è più importante dell’idea, ci ricorda Papa Francesco) e prendere le misure all’oggetto del suo lavoro.
Lavoro, famiglia, solidarietà e pace come si possono declinare, per presentare le proposte politiche agli italiani non a prescindere, ma a partire dalla concretezza effettiva della loro vita?
Vincenzo Mannino