Da tempo molti hanno lavorato e tuttora lavorano di cesello attorno al progetto di un “centro moderato” che dovrebbe restituire al nostro sistema politico-istituzionale un equilibrio che manca, una elasticità di rapporti funzionale ad una dialettica che non sia, come di fatto succede, di contrapposizione nuda e cruda tra i due schieramenti della destra e della supposta sinistra.

Si tratta di un discorso che ha finito per avvitarsi su sé stesso, tra mille distinguo, mille protagonismi, tante ambizioni personali, altrettante rivendicazioni di ruolo e di primato, così da ritrovarsi, di fatto, superato dallo sviluppo degli eventi o almeno collocato in tutt’ altra cornice e, dunque, da rimeditare, dopo che il governo della destra ha avviato il percorso che, nei suoi auspici, dovrebbe portarci alla elezione diretta del Presidente del Consiglio.
Un passo indietro, per chiarire, e poi due brevi considerazioni.

Il passo indietro è questo: chiamiamo pure “centro” questa ipotetica formazione politica, ma consapevoli di farlo solo convenzionalmente e sapendo che si tratta di un termine che non dice nulla ed anzi confonde le acque.
Se, infatti, si pensa il fatidico “centro” come terzo incomodo o forza di interposizione tra i due poli di un sistema bipolare che ha stancato metà e più degli elettori italiani, non si va da nessuna parte. A meno che ci si interpreti come “caschi blu” della politica, oppure ci si adatti a fungere da sponda, al momento del possibile bisogno, all’ uno o all’ altro dei due contendenti. Occorre tutt’ altra visione ed un’ambizione più alta e più coraggiosa.

Non serve un “terzo polo”, cioè un’ entità che si aggiunga alle altre due e finisca per essere, di fatto, costretta a definirsi – o, almeno, ad essere letta, al di là delle sue intenzioni – non per quel che in sé vale, ma in funzione delle altre due. Ci vorrebbe, piuttosto, una forza che si collochi fuori dal perimetro del bipolarismo maggioritario, ne segnali le contraddizioni e proponga un’ alternativa che passi, anzitutto, da una nuova legge elettorale proporzionale che liberi gli elettori – ma, in definitiva, gli stessi partiti che vi concorrono – dai lacci di alleanze obbligate e sghembe.

La prima osservazione concerne un dato politico dirimente. Se pur dovesse nascere, una nuova formazione politica non potrebbe aggregarsi, in questo frangente storico, se non sulla condivisione di un comune impegno contro la riforma costituzionale avanzata dalla destra.

La scelta tra la cosiddetta democrazia diretta e la democrazia parlamentare e rappresentativa si muove su un crinale che determinerà per una lunga, imprevedibilmente lunga stagione della nostra storia il carattere di fondo dell’ Italia.
Non ci potrebbero essere progetti o programmi che siano in grado di sopportare la contraddizione di una differente postura nel merito e di sopravvivervi. Senonché, pochi o forse nessuno, tra gli aspiranti attori di un tale progetto, si è dato o si dà cura di prendere schiettamente posizione su questo tema.

La seconda considerazione concerne, senza nulla togliere alla straordinaria importanza delle elezioni europee, il rilievo che, soprattutto per una eventuale forza del genere, rivestono le elezioni amministrative, occasione di quel radicamento sul territorio, indispensabile per un disegno di rigenerazione e di riscatto della politica.

Domenico Galbiati

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