E se la discussione sulle inclinazioni più o meno parafasciste di FdI o almeno di taluni suoi esponenti di rilievo, per quanto motivata, funzionasse soprattutto come meccanismo di distrazione di massa che ci impedisce di scorgere da dove, ben più minacciosamente, giungono oggi insidie, pericoli, attentati alla democrazia ed agli ordinamenti istituzionali in cui si sostanzia?
L’ affanno che mostrano, a cominciare dalla nostra, ma ben oltre i nostri confini, le democrazie parlamentari e rappresentative non sono, forse, anche il riflesso di una passione spenta, di una smarrimento del gusto della libertà – di cui si avverte, piuttosto, la fatica – di una progressiva disassuefazione dalla democrazia, avvertita come una sorta di rito formale, che poco o nulla incide sulla realtà del processo politico e sociale?
In altri termini, la crisi o almeno l’appannamento di cui soffrono oggi i regimi democratici derivano da spinte “esogene”, da forze che, in una certa misura, le assediano dall’esterno o piuttosto da processi “endogeni”, dal rischio di una sfarinamento delle ragioni della democrazia che, via via, la destrutturano dall’ interno? Insomma, abbiamo ancora voglia di essere uomini liberi oppure è tale la pressione mentale, psicologica, affettiva, esistenziale della complessità in cui siamo immersi, cosicché torna più comodo, di fatto, perfino inconsciamente, consegnarci alla rassicurazione garantita da quei potenti processi di “omologazione”, che, tra l’altro, anche le ragioni del “mercato” favoriscono?
Che cosa dobbiamo temere di più: una presunta, pallida, perfino penosa “revanche” nostalgica oppure quella sorta, si potrebbe dire, di “fascismo subliminale”, inerte e grigio, che, per un processo silente e progressivo di osmosi, pervade ed avvelena i tessuti dell’ organismo sociale? Storicamente i regimi illiberali sono sì il prodotto di un assalto alla democrazia di un potere autoritario, ma, non meno, rappresentano l’ esito nefasto dell’ ignavia, della stanchezza morale, degli opportunismi degli uomini liberi.
In definitiva, se le cose stanno così, a maggior ragione, il presidio della democrazia e della libertà risiede sicuramente anche nell’ ingegneria istituzionale degli ordinamenti, delle leggi elettorali, nel corretto ruolo dei partiti, nell’appropriato funzionamento degli apparati burocratici ed amministrativi, ma, inevitabilmente, sta soprattutto in quello spessore dell’interiorità e della coscienza morale di ciascuno in cui prende dimora la sfida di voler essere uomini liberi, criticamente capaci di pensare in proprio e di assumere la responsabilità che, da propri personali giudizi, consegue.
Ancora una volta, il discorso torna, inevitabilmente, a quella “centralità della persona” che deve ancora impegnare la nostra ricerca di nuove categorie interpretative del divenire sociale e, conseguentemente, di nuovi paradigmi.
Domenico Galbiati