Si è correttamente osservato su questo sito che la realtà di un Afghanistan abbandonato ai Talebani rende l’idea della crisi dell’occidente e della sua perdita di leadership democratica ( CLICCA QUI )quasi come coronamento di una” lunga stagione di fallimenti dell’Occidente – dell’America guidata (ahimè) da Presidenti Democratici e dei suoi alleati – su tutti gli scenari nei quali si gioca il futuro degli equilibri mondiali”.
In un certo senso, stranamente, questa crisi dell’Occidente si è prodotta all’indomani della felice conclusione della guerra fredda, che molti hanno voluto vedere come una vittoria dell’Occidente piuttosto che come un’intesa sulle future dinamiche del sistema internazionale, raggiunta fra Gorbaciov e George Bush. Forse è stato proprio questo trionfalismo che ha indotto le successive presidenze americane a farsi promotrici di un liberalismo diverso da quello che aveva operato per tutto il secondo dopoguerra fino alla fine della guerra fredda. Un liberalismo preoccupato della stabilità e rispettoso del principio della sovrana eguaglianza di tutti i paesi sancito dalla carta delle Nazioni Unite.
Con il Presidente Carter, gli Stati Uniti adottavano un liberalismo rampante, da me già definito turbo-liberalismo, che pretendeva di imporre attraverso l’interferenza nelle dinamiche politiche interne, e anche con la forza, i valori identitari propri dei “liberals” della “east coast” ovunque se ne ravvisasse una minaccia rilevante per gli interessi o la sensibilità di alcuni ambienti americani.
Il successo dei Talibani di oggi è il risultato finale degli esperimenti degli apprendisti stregoni che hanno continuato ad evocare e rafforzare forze utilizzabili nel breve periodo, ma incontrollabili nel lungo; come si è visto con estrema evidenza ultimamente nel teatro siriano con il consolidarsi nell’ISIS di forze inizialmente sostenute dagli “ amici” (occidentali) della Siria.
Forse un ritorno al liberalismo (classico?) del Secondo dopoguerra (1945-1990) consentirebbe all’Occidente di recuperare la sua credibilità e di disporsi ad una competizione, non necessariamente fatta di contrapposizione ostile, a livello globale.
AntonGiulio de Robertis