Dopo anni di crescita strepitosa anche la Cina deve fare i conti con la bolla immobiliare che ormai è esplosa.

“Le Monde” apre la sua ultima edizione domenicale parlando di una crisi economica “inedita”: la fabbrica del mondo che aveva attratto sistemi produttivi in quasi tutti i settori frena e rischia di fermarsi. Oltre alla insolvenza di due colossi del settore immobiliare (Evergrande; Country Garden) che hanno accumulato insieme debiti per cinquecento miliardi di dollari, sono apparsi anche lo spettro della deflazione e l’impennata della disoccupazione giovanile nella realtà della seconda economia mondiale.

Per capire che cosa stia succedendo bisogna considerare che in Cina la finanza fa capo al partito-Stato; l’industria è ad economia mista (pubblico e privato) e l’edilizia è privata, ovvero lasciata al mercato. Chi scrive ha visto lo sviluppo della capitale: gli anelli delle tangenziali di Pechino sono ormai otto, e negli spazi intermedi sono sorte città intere con tutti i servizi, dai supermercati agli alberghi, dagli ospedali alle metropolitane.

Lo sviluppo dell’edilizia ha proceduto secondo un modello particolare: i terreni appartengono ai comuni e alle province che li cedono agli sviluppatori per un tempo molto lungo. Questi pagano una sorta di imposta che rappresenta le entrate degli enti locali. Poi costruiscono e vendono ai privati.

Le banche finanziano i costruttori, concedono mutui ai privati e il rientro dei mutui serve a finanziare nuovi interventi. Come da noi. Se le case, o meglio interi quartieri per non dire città, restano invenduti la catena si ferma e le imprese edilizie non sono in grado di restituire i finanziamenti. Non solo quelli delle banche, ma anche quelli dei loro azionisti e obbligazionisti.

Basti ricordare, per avere un’idea di ciò che sta succedendo, che ad oggi gli appartamenti invenduti sono novanta milioni. Con quanto ne consegue anche per l’indotto: cemento, legno, vetro, intonaci, sanitari, mobilio e tutto quanto l’edilizia trascina.

Alla Borsa di New York, il colosso cinese  Evergrande ha chiesto l’accesso al “Capitolo 15” della legge americana sulle insolvenze, che è la ristrutturazione del debito e non la bancarotta (Capitolo 7) come scrivono superficialmente alcuni nostri quotidiani. Ma per le banche e i possessori di azioni e obbligazioni le posizioni sono incagliate. Sono ovviamente conseguiti i crolli delle azioni e i mancati rimborsi delle obbligazioni.

Quali conseguenze per noi? Siamo una piccola provincia nel mondo globale, ma il rallentamento della spinta propulsiva dell’economia cinese non potrà non avere conseguenze sui mercati secondo le analisi economiche più serie.

Dopo il Covid, la crisi energetica, la guerra in Ucraina anche noi non abbiamo certo bisogno di nuove fratture nella catena degli approvvigionamenti di materie prime e prodotti, nè di rallentamenti nelle esportazioni.

Tanto più che la Germania continua ad essere quasi ferma, la nostra produzione industriale rallenta velocemente, altre risorse come le commodities (grano,ecc) cominciano a sentire le conseguenze dei blocchi nei porti del Mar Nero; la pressione fiscale specie sui salari deve diminuire e non si sa bene con quali risorse.

Per ora la barcaccia tiene, ma l’aria in arrivo non segna certo bel tempo.

Guido Puccio

 

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