Apparentemente sono due assessori di Forza Italia a pagare il prezzo del “rimpasto” della Giunta Regionale lombarda. “Cartellino rosso” ed espulsione dal campo per Giulio Gallera per somma di falli e di ammonizioni. Spostato sulla fascia laterale dal centro-campo, dove condivideva la regia con il Presidente Fontana, l’ ex-vicepresidente, Fabrizio Sala.
Messa così sembrerebbe una vittoria di Salvini. In effetti, così non è. Non a caso, infatti, il capo della Lega per pareggiare il conto – che pur sembrerebbe del tutto a suo favore, avendo lui stesso imposto il rimpasto, a quel che si dice – ha chiesto ed ottenuto due assessori in più. Come nel calcio-mercato: quando due squadre si scambiano giocatori, se il valore di mercato dell’uno eccede significativamente quello dell’altro, si stabilisce un conguaglio o in denaro o con altro giocatore, magari solo in prestito.
Insomma, non ha torto chi sostiene che ad uscirne con le ossa rotte è piuttosto la Lega, poiché, di fatto, l’ingresso in Giunta di Letizia Moratti equivale ad un commissariamento della Presidenza e, con ogni probabilità, il primo a saperlo – ed a volerlo – è lo stesso Salvini.
Del resto, non è nemmeno necessario che tutto ciò sia stabilito nelle carte dei nuovi accordi sottoscritti da Lega e Forza Italia. Nei quali non è escluso sia contemplata anche la candidatura per Palazzo Marino, ammesso che il centro-destra, e segnatamente la Lega, abbia davvero una gran voglia di cimentarsi nell’impresa.
A fronte del curriculum e dell’autorevolezza politica di Letizia Moratti, Attilio Fontana è un “peso piuma” e poiché, al di là delle attribuzioni ufficiali, i valori si misurano in campo, è ovvio ciò che ne consegue. Peraltro, se si fosse trattato di soccorrere la sanità lombarda, sarebbe bastato che la Moratti assumesse il relativo assessorato. L’aggiunta della vicepresidenza è altra cosa. Sia simbolicamente che sul piano concreto dell’indirizzo politico ed amministrativo.
Insomma, il buon Gallera si è dribblato da solo, ma le sue gaffes hanno finito per essere un “casus belli “, giunto come il cacio sui maccheroni per cercare di dare una svolta ad una conduzione della Regione Lombardia, francamente imbarazzante per la Lega. E’ pur sempre il “comandante in capo”, il Presidente della Giunta, anzi, il “Governatore” a dover rispondere dei suoi assessori. Un Presidente autorevole, effettivo leader della sua maggioranza, anziché scaricarlo, avrebbe difeso il suo assessore, che, in fondo, con tutti i limiti mostrati, è da un anno in prima linea.
Del resto, i guai del sistema sanitario lombardo, pur eccellente per molti aspetti, sono strutturali e non riconducibili alla conduzione gestionale ed amministrativa che rientra nelle competenze di un singolo assessore. Sono, piuttosto, da ascrivere ad una grave asimmetria tra medicina ospedaliera e medicina territoriale, che, a sua volta, deriva da una concezione strategicamente errata di una politica sanitaria “ospedalo-centrica”, in contraddizione con l’indirizzo oggi prevalente.
Si tratta di un indirizzo che viene da lontano ed ha reso la sanità lombarda attraente, anche per molti cittadini che arrivano da fuori Regione, per le prestazioni cliniche più complesse e per gli interventi diagnostici o terapeutici tecnologicamente più avanzati. Senonché sono mancate, come già detto, l’integrazione tra medicina di base e medicina ospedaliera, così come l’integrazione tra momento strettamente sanitario e versante socio-assistenziale, il che avrebbe evitato o almeno fortemente contenuto il dramma che abbiamo vissuto, la scorsa primavera, nella RSA.
Domenico Galbiati