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La democrazia significa partecipare alle decisioni- di Giovanni Cominelli

Dice Carlo Calenda: “Dopo l’elezione di Elly Schlein il sistema politico ha raggiunto un ulteriore punto di chiarezza. A sinistra la linea politica di Pd e Movimento 5 stelle si è definitivamente unificata, mentre a destra c’è solo Giorgia Meloni con un paio di ruote di scorta più o meno gonfie”.

Nel PD, “insieme alla Schlein, hanno vinto Bettini, Zingaretti, Orlando, Franceschini, Concita De Gregorio e Michela Murgia. Non una grande novità di classe dirigente, linea politica o pensiero”. E sia! Ma che cosa farà il Terzo Polo? La risposta di Calenda: “quello che faceva prima”, cioè: “costruire  il partito unico di popolari, liberali e riformisti, riunificando classi dirigenti ed elettori che sono stati divisi con l’accetta del bipolarismo”.

Pare, però, che “quello che faceva prima” non sia bastato fino ad ora, in particolare nell’occasione delle elezioni regionali e che, pertanto, potrebbe non  bastare in futuro. E non tanto perché non siano chiare la collocazione ideologica – il “Repubblicanesimo” e il “liberalismo sociale” – e l’ispirazione programmatica – “l’Agenda Draghi” -, ma perché si danno difficoltà oggettive in questo 2023 a definire che cosa è un partito o, forse più radicalmente, che cosa è “fare politica”.

Intanto, “il fare politica”, cioè partecipare personalmente alla definizione delle politiche pubbliche, passa sempre meno attraverso l’intermediazione dei partiti. Sono stati, sì, storicamente il principale agente della partecipazione dei cittadini alla politica, ma si sono progressivamente richiusi in modo oligarchico e corporativo: la corporazione degli addetti alla competizione per il potere.

Così, coloro che vogliono “fare politica” si sono divisi su due sentieri: quelli che provano a farla, by-passando i partiti, attraverso club, associazioni, movimenti; quelli che si legano a frazioni di partiti e ai leader che le dirigono.

Il primo sentiero, tuttavia, senza la mediazione politica del partito o si perde nel bosco o tenta di raggiungere un partito, cercando di impadronirsene – fu la prima intenzione di Grillo, quando dichiarò l’intenzione di presentarsi alle primarie del PD dell’ottobre del 2009 – oppure fonda un movimento-partito a sua volta, come appunto fece Grillo agli inizi di ottobre del 2009, pochi giorni prima delle primarie PD.

L’impresa invece è riuscita a Elly Schlein e alle sue Sardine. Il vantaggio del secondo sentiero è che offre ad una persona che voglia fare politica una connessione immediata con le istituzioni e con il potere. A condizione di trovare la connessione giusta.

Se il dilemma che sta davanti al Terzo Polo come ad agni altro partito, di governo e di opposizione, è quello di far ripartire lo sviluppo del Paese o adeguarsi alla sindrome trionfante della “trascuratezza benestante”, che Calenda cita dalla saggista Helene Von Bismarck, oggi la sfida delle sfide consiste nel rispondere alla domanda di partecipazione deliberativa alla politica.

Non sarà il fascino dei programmi, ben argomentati, ma la capacità di rendere attraente la politica a far vincere la competizione tra i partiti. Elly Schlein ha vinto la competizione per la segreteria del PD, perché ha offerto, in primo luogo ai giovani, un modello di partito assai diverso da quello di Bonaccini.

Non perché disponga di una teoria diversa circa la forma-partito, ma perché la sua storia e la sua persona rappresentano automaticamente un modello alternativo alla burocrazia di partito, ben rappresentata da Bonaccini.

Con una contraddizione: lei stessa è stata appoggiata dai potenti capi-corrente del PD. La contraddizione non tarderà ad esplodere, ma al momento l’ennesimo appello ad un nuovo modello di partecipazione ha vinto.

Non riesce facile alle giovani generazioni lasciarsi affascinare dal repubblicanesimo, da una visione razionale e laica e liberale del mondo, spesso troppo incolore e strutturalmente incerta.

Il principio di falsificabilità è l’esatto contrario delle più facili visioni totalitarie e soteriologiche, che prevedono una netta e ben percepibile distinzione tra bene e male, verità ed errore, tra noi e loro, tra amici e nemici, tra salvezza e catastrofe.

Su quelle basi, d’altronde, è stata costruita la mobilitazione politica nel primo dopo-guerra e nel secondo. Su questa base sono nati i partiti di massa ed è stata resa possibile la nazionalizzazione delle masse. Una pacchia per i partiti.

Il Terzo Polo si aprirà uno spazio, se sarà capace di offrire un modello di partecipazione alla politica alle giovani generazioni. Secondo la leggenda, la colpa del distacco dai partiti sarebbe l’avvento di Internet, dei social e dei cellulari.

Così che basterebbe che i partiti si aprissero all’uso di questi nuovi mezzi di comunicazione per allargare la platea di coloro che vogliono fare attività politica. In realtà, i nuovi mezzi hanno accresciuto enormemente la nostra conoscenza del mondo, hanno fatto crescere l’intelligenza sociale.

Disponiamo di un’accumulazione quotidiana di informazioni quale mai era possibile prima. Ma la democrazia significa partecipare alle decisioni. Senza la decisione, salta la connessione tra la politica e la propria vita. Perché un giovane diciottenne/trentaquattrenne – questo è ormai l’arco della giovinezza biografica – dovrebbe fare attività politica, discutere, partecipare se, alla fine, non può scegliere chi rappresenta le sue istanze più profonde e chi lo governa, perché tanto il rappresentare quanto il governare sono decisi da leader “carismatici” o da oligarchie di partito? In tal caso si perde la connessione tra la politica e la propria vita.

Offrire canali di partecipazione/decisione equivale ad attrarre i giovani nel circuito dell’esercizio della responsabilità, a metterli alla prova nel mondo, a scegliere il proprio destino.

L’attività politica non ha fortunatamente nulla di escatologico e di destinale, ma è attraverso di essa che una persona assume tutte le responsabilità che competono all’esser-nel-mondo. Ed è solo così che il partito o comunque lo si voglia chiamare deve tornare ad essere il “seminarium rei-publicae”.

Giovanni Cominelli

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