Stiamo affrontando uno dei problemi più scottanti dell’umanità di oggi qual è quello dell’andamento demografico. In particolare quello delle grandi potenze economiche che hanno goduto della presenza di ampie fasce di popolazione in età lavorativa. uno scenario in grande mutamento che pone dei grandi interrogativi sul futuro anche in relazione alla disparità di situazione in cui sono destinati a trovarsi le società più ricche nei confronti di quelle in via di sviluppo o ancora sottosviluppate.
Lauren Leatherby su The New York Times (CLICCA QUI) ricorda come i primi segnali siamo venuti dal Giappone, che resta ancora tra le principali “locomotive” economiche del mondo, e che già dieci anni fa mostrò un andamento che oggi è seguito dall’Europa e da altri paesi fortemente sviluppati come la Corea del sud. Ma in quella direzione sta già andando anche la Cina che, non a caso, ha superato tutte le leggi che limitavano la procreazione. Nel 2013 l’Arcipelago del Sol levante già registrava che un quarto della sua popolazione aveva un’età superiore ai 65 anni.
Nel frattempo, c’è stata una completa trasformazione dei dati demografici mondiali. E tra questi non può non essere menzionato il fatto che l’India ha persino superato la Cina per numero di abitanti, in particolare quelli che vivono in fasce d’età di primo impiego lavorativo.
Le previsioni sono che nel 2050 la popolazione al di sopra dei 65 anni supererà la percentuale del 40% anche in Europa e nell’Asia Orientale.
Le conseguenze saranno importati. A partire da quello che riguarda il sistema pensionistico, l’età in cui i lavoratori potranno ritirarsi dal lavoro e le politiche sull’immigrazione. Lauren Leatherby ricorda le proiezioni delle Nazioni Unite secondo le quali la forza lavoro più equilibrata sarà principalmente nel sud e nel sud-est asiatico, in Africa e nel Medio Oriente. Il cambiamento, dunque, finirà per rimodellare la crescita economica e gli equilibri di potere geopolitico a livello mondiale.
Molti studiosi affrontano la questione della disparità di situazioni, inclusa quella dei livelli di fertilità, perché da essa dipenderà la distribuzione della forza lavoro e la sua incidenza sulle singole economie. Pertanto, alcuni paesi oggi considerati sottosviluppati potrebbero ricavare dei vantaggi se in grado di raggiungere l’equilibrio tra natalità e capacità economica e produttiva. Soprattutto se quei paesi saranno in grado di assicurare ai giovani adulti l’accesso al lavoro e all’istruzione. Altrimenti la diffusa disoccupazione giovanile potrebbe minacciarne la stabilità, così come quella delle are verso cui potrebbero essere costretti ad emigrare.
D’altro canto, la Leatherby sottolinea come tassi di fertilità leggermente più alti e più immigrazione possano favorire gli Stati Uniti e l’Australia che, secondo le previsioni, potrebbero nel 2050 avere più giovani rispetto alla maggior parte degli altri paesi evoluti. Sia negli Stati Uniti che in Australia, potrebbe esserci una percentuale di adulti al di sopra dei 65 anni del solo 24% della popolazione, un dato parecchio inferiore a quello europeo.
CV