Una cosa condividono destra e sinistra: l’incapacità di riaccendere la passione civile degli italiani. Il costante decremento di partecipazione al voto, per quanto da tempo abbia raggiunto livelli preoccupanti, è costante e addirittura cresce ad ogni appuntamento elettorale.

Per comprendere se vi sia – e dove – un punto di possibile inversione della tendenza, sarebbe necessario capire se la gamma di motivazioni che inducono a disertare le urne – sicuramente variegate e plurali, dal punto di vista soggettivo – siano, comunque, riconducibili ad una ragione strutturale di fondo che valga come una sorta di ultima istanza che tutte le accomuna o le apparenta. Si tratta di ignavia o di impotenza? Oppure del reciproco alimentarsi di questi due atteggiamenti, sia pure asimmetrici, nel senso che è il secondo – l’ impotenza – ad accendere il primo, cioè l’ignavia?

Il tutto rinvia ad un giudizio dell’ elettorato sprezzante nei confronti della politica, che va, decisamente, oltre il segno di quanto la politica lo meriti. Ciò nasce, del resto, dall’ inconcepibile, eppure reale, contraddizione messa in campo da forze politiche che fanno dell’ “antipolitica” il cuore del loro progetto, almeno sul piano metodologico. E poiché i germi di una tale postura sono stati sparsi, a larghe mai, nel nostro Paese, fin dalla metà degli anni ‘90, cioè da Silvio Berlusconi – cui hanno fatto seguito numerosi epigoni – non c’è da sorprendersi se, a trent’ anni data, da quel primo seme, sia cresciuto un albero rigoglioso, come l’evangelico sicomoro.

In un tale contesto, neppure deve sorprendere che sia la destra a godere di uno scarto che le assicura un vantaggio relativo, pur nella complessiva depressione del quadro generale. In ogni caso, ciò avviene sullo sfondo di un più vasto “sentimento” che induce – sia pure in modo subliminale, senza che ci spendiamo troppo per portarlo alla luce della coscienza – a ritenere che la storia, come una sabbia sottile, si sia fatta inafferrabile e ci scivoli via tra le dita, per farsi da sola, se così si può dire. La sensazione è che gli eventi succedano di per sé, senza che – vedi, ad esempio, la pandemia – sia possibile accertare se vi sia una catena causale – e quale – che ne dia conto oppure se, al contrario, siamo sovrastati da una sorta di destino beffardo. Ne consegue che non vale la pena di darsi pena ed arrabattarsi più di tanto. Meglio “surfare” sulla cresta dell’ onda, ricavarne quel poco di utilità marginale che si può ricavare senza preoccuparci dove l’onda vada a spiaggiare, per abbandonarci, infine, sul “bagnasciuga” di un lido inesplorato.

Senonché, nessuno è in grado di suggerire una traccia, di mostrare una mappa, sia pure embrionale, per avviare l’esplorazione di un nuovo territorio, talmente differente da apparire pericoloso ed infido. Meglio, dunque, trattenersi nel “blocco d’ ordine” dei conservatori e dei prudenti. Allineati e coperti dietro l’ “uomo forte” di turno, senza comprendere – o fingendo di non capire, se non a case fatte, quando è troppo tardi per porre rimedio – che, in effetti, si tratta di un pifferaio che suona e ripete un motivo stonato.

Domenico Galbiati

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