La forte avanzata delle destre, perfino nelle forme neo-naziste dell’AfD in Germania, con ogni probabilità, non rappresenta un picco di consenso destinato a dileguarsi nel tempo, in termini rapidi com’è successo, in particolare da noi, in altre occasioni e con altri protagonisti estemporanei di una scenografia politica rivelatasi presto effimera.
Sembra essere, piuttosto, l’incipit di una nuova fase storica, che segna una cesura con quella lunga stagione del secondo dopoguerra che ha visto affermarsi, nelle loro forme classiche, le democrazie parlamentari e rappresentative, così come le abbiamo conosciute, in modo particolare nei Paesi fondatori dell’ Europa unita.

L’astensionismo, particolarmente severo ancora una volta soprattutto in casa nostra, esclude dal discorso pubblico almeno la metà dei cittadini europei. E consegna gli altri ad una dialettica che conosce solo la contrapposizione pregiudiziale di opposte radicalizzazioni. Le quali, di fatto, come volevasi dimostrare, vanificano l’illusione che un eventuale “centro” moderato possa rimettere su una careggiata virtuosa un sistema politico del tutto chiuso su sé stesso.

In un tale contesto, rischia di perdere anche chi vince, nella misura in cui gli uni e gli altri si rincorrono in un gioco a somma zero, se commisurato ad un contesto internazionale in subbuglio e nel quale un’ Europa ridotta in queste condizioni non tocca palla. Per quanto i liberali in Francia cedano il passo alla Le Pin ed in Germania i socialisti siano, a loro volta, sonoramente sconfitti, resiste la cosiddetta “maggioranza Ursula” soprattutto grazie alla tenuta, anzi al chiaro successo che ha premiato il PPE, partito che costituisce il vero baricentro di un percorso che sia schiettamente europeista, orientato ad allargare il perimetro della sovranità europea, anziché camminare a ritroso per rientrare nel grembo rassicurante delle “nazioni”. Insomma, gli europei non rinunciano, pur in un momento di grave disorientamento, a privilegiare le forze che all’unità del vecchio continente credono davvero.

Ad ogni modo, se le democrazie rappresentative non hanno più sufficiente “appeal”, non sono in grado di assorbire le paure, le frustrazioni, le condizioni di precarietà e le diseguaglianze che gonfiano le vele della destra, non sanno più suggerire una prospettiva, è necessario prenderne atto ed organizzare una risposta.

Vi sono due possibili direzioni di marcia. Una delle due consiste nella supina accettazione di una involuzione democratica che, attraverso percorsi di personalizzazione del potere, conduca verso soluzioni autocratiche che già Giorgia Meloni avanza e propone in Italia. La seconda guarda, al contrario, ad una rivisitazione e ad un arricchimento dei momenti di partecipazione attiva alla vita civile della propria comunità, ad esempio attraverso gli strumenti della democrazia deliberativa.

Nel momento in cui i cittadini scansano così massicciamente le urne e, cioè, il loro primo e più elementare diritto, può sembrare utopico anche solo immaginare percorsi del genere. Eppure, sotto la cenere di una rassegnata inerzia, con ogni probabilità sono ancora accesi i tizzoni di una passione politica e civile che va pazientemente ridestata.

Domenico Galbiati

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