Ma la PACE che auspichiamo si può davvero fondare sulla DETERRENZA , cioè sulla capacità di impaurire e tenere a distanza la controparte in un mondo sempre più in fiamme? Parrebbe proprio di sì se guardiamo a due documenti recenti, uno del Consiglio Europeo ed uno della NATO.
“Il Consiglio europeo sottolinea la necessità imperativa di rafforzare e coordinare la preparazione militare e civile e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce. Invita il Consiglio a portare avanti i lavori e la Commissione, insieme all’alto rappresentante, a proporre azioni volte a rafforzare, a livello dell’UE, la preparazione e la risposta alle crisi nel quadro di un approccio multirischio ed esteso a tutta la società, tenendo conto delle responsabilità e delle competenze degli Stati membri, in vista di una futura strategia di preparazione”. ( Dichiarazione finale del Consiglio europeo del 21 e 22 marzo 2024, art. 44)
Detto in parole più esplicite, e chiarendo che le minacce cui il Consiglio europeo si riferisce non sono oggi più quelle del virus Covid- 19 o di un suo fac-simile, ma quelle della guerra, pudicamente mai chiamata col suo nome, potremmo aggiungere la affermazione di un dirigente NATO : “La pace non è più scontata, dobbiamo essere pronti: le opinioni pubbliche dei Paesi che compongono la Nato “devono capire” che non si può più dare la pace per “scontata” nei prossimi anni e che la guerra è un fenomeno che coinvolge tutta la società, che deve sostenere i militari “con uomini e mezzi”. Lo ha detto, nel gennaio 2024, il Presidente del Comitato militare della Nato, l’ammiraglio Rob Bauer, al termine di una riunione dei capi di Stato Maggiore alleati, già citato in Maurizio Bloncet, “Improvvisamente, tutti a strillare guerra!”( citato da Massimo Brundisini in Il partito della pace e della felicità politica, CLICCA QUI)
Forse, per esplicitare fino in fondo queste affermazioni, dovremmo addirittura riconoscere apertamente che la pace è soprattutto deterrenza, vale a dire è capacità di intimidire, di mettere barriere insormontabili tra noi e l’ “altro” che ci minaccia. . Si vis pacem para bellum! Esattamente come per gli “antichi” romani. E anche come per i “moderni” europei che nel ventennio dopo la guerra 1914-18 pensarono di rafforzare la pace costruendo maldestri e contrapposti sistemi di deterrenza e di “sicurezza” militare, che produssero prima la vittoria elettorale di Hitler e poi il secondo conflitto mondiale .
Che la pace sia deterrenza è una enormità di cui però non riusciamo a renderci conto. Se la pensiamo davvero così abbiamo già accettato la guerra ed abbiamo rinunciato a fermarla ed a predisporre azioni per ricostruire ogni vera pace futura. Una guerra- non in Ucraina ed a Gaza- ma una guerra senza limiti e senza confini precisi, nel tempo e nello spazio, dalla durata assolutamente imprevedibile, ed anche dalle modalità mutanti ( terrorismi, sanzioni e contro sanzioni, guerre informatiche ecc.). E, d’altro lato, la unica “pace” di cui potremmo parlare sarebbe unicamente la pura e semplice sicurezza armata, non l’organizzazione o la costruzione di relazioni internazionali fondate su consenso e affidabilità reciproca. L’ONU , il Tribunale dell’ Aja sono i residui di un vecchio sogno di ingenui?
Ormai è chiaro. Non riusciamo a iniziare trattative e negoziati perché non riusciamo più a pensare la pace in positivo, come organizzazione di una comunità internazionale, nel senso in cui la intendevano Schuman o Adenauer o Monnet, i padri fondatori della pace europea durata almeno un cinquantennio. La guerra pare ormai una sorta di destino, un Covid permanente o ricorrente, contro cui possiamo premunirci solo con l’immunità che ci può dare una nuova “corsa agli armamenti”. Per questo dovremmo cominciare ad “educare” non solo in Russia, in Ucraina o in Polonia le nuove generazioni scolastiche alla guerra, ma anche da noi, nel cuore dell’ Europa occidentale, democratica e patria dei diritti umani, per la verità oggi non sempre così tutelati neppure entro i confini UE. Davvero sembra di vivere un incubo.
Quest’ incubo è il ritorno o il dilagare di una cultura della guerra– cioè di una cultura incapace di pensare la pace e di rimuovere le fondamenta dei fatti bellici. La guerra è ormai pensata come una dimensione permanente, una sorta di brace sotto la cenere sempre pronta a trasformarsi in fuoco. Pace allora può essere soltanto la forza dissuasiva che lo tiene lontano. L’ infotainment, quotidiano sulla guerra ci abitua a inserirla tra gli eventi quotidiani, spiacevoli, ma inevitabili come sono gli eventi naturali e le catastrofi climatiche. Come sarebbe possibile evitarle, se non preparandosi ad esse? Partiti di destra e di sinistra, forze “progressiste” non esitano ad accettare questa prospettiva. Un deja vu, si direbbe. I socialisti convertitisi rapidamente alla guerra, come nella “grande guerra”.
Cosa sta succedendo? C’ è qualcosa che la nostra cultura pubblica sembra avere smarrito. Abbiamo dimenticato la forza della mitezza e della pace intesa in senso profondo, quello che è entrato nella storia col concetto ebraico-cristiano di shalom. La pace come esigenza profonda del singolo e della comunità, intesa come realizzazione integrale della persona e della comunità, come premessa essenziale della felicità pubblica e privata. Che siamo credenti o no, abbiamo rimosso quella Parola e quella idea di Pace, facili forse da irridere, che hanno lavorato nel profondo della coscienza umana, e che hanno conferito a uomini e persone comuni quella forza straordinaria che nei secoli ha cambiato, più di ogni “rivoluzione”, lentamente ma profondamente, la storia umana, ne ha rovesciato alcuni tratti essenziali, ovviamente senza eliminarne tragedie e imperfezioni cioè senza eliminarne l’umanità . Quella forza misteriosa che ha segnato un nuovo inizio della storia umana, come intuivano confusamente, ma intelligentemente, i grandi pensatori dell’antichità che presagivano, agli inizi dell’era cristiana, una nuova numerazione dei tempi della storia: magnus ab integro saeclorum nascitur ordo ( nasce una successione di secoli completamente nuova Vir gilio, Egloga IV) .
E’ solo il pieno riconoscimento della dignità umana che rende la PACE non più solo una situazione certo auspicabile e preferibile, ma dipendente esclusivamente dalla forza, bensì un diritto da realizzare nella comunità umana attraverso un ordine che viene da una concordia, che è difficile ma non impossibile costruire. Una esigenza prioritaria per la piena realizzazione della persona e della comunità. Una esigenza che non è politica ma esistenziale che fonda la politica e la convivenza umana. Una esigenza che contrappone da subito la nuova idea di PACE a quella dell’antichità. Certo questa era prima di tutto una aspirazione messianica- escatologica ma è poi divenuta anche il modello per costruire la comunità civile e internazionale nell’ era moderna e soprattutto nella seconda metà del XX secolo, dopo le catastrofi belliche.
I sostenitori ottusi della sedicente Realpolitik possono anche affermare che tutto questo sia una pia illusione. Che il fondamento ultimo della realtà umana sia soltanto la dimensione belluina della violenza e che la forza bruta sia l’unico elemento capace di tenere a freno tutto questo. Ma questa era esattamente la visione propria della civiltà pre-cristiana. Quella civiltà che si basava proprio su una pace esclusivamente intesa come deterrenza e che nel disordine e nella auto-distruzione scatenata proprio dalla militarizzazione del potere imperiale, più che dalle incursioni germaniche, si inabissò disastrosamente. Dobbiamo impedire che questo diventi anche il mostruoso futuro dell’ Europa. Bisogna però tornare a riflettere su cosa è davvero PACE. Non parliamo invece più di guerra, sappiamo benissimo tutti cosa è, e conosciamo anche le sue cause. Parliamo dell’ “altra” PACE, di quella vera e riprendiamone il contenuto . E’ un augurio che ci possiamo rivolgere per la Pasqua 2024.
Umberto Baldocchi