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La “fiera” delle gestazioni – di Adalberto Notarpietro

Confesso di non essere un cattolico “doc” e credo che difficilmente riuscirò a diventarlo. Faccio fatica a comprendere e accettare per fede; non mi è dato per natura. I miei studi si sono orientati verso quei misteri che fanno parte della nostra vita e che ci accompagnano dalla nascita alla morte e, la mia formazione culturale ha alimentato più dubbi che certezze.  Credere si può e credere si deve, ma non è qualcosa che si può decidere.

A volte gli scenari appaiono semplici, o forse così ci piacerebbe che fossero, ma poi tutto si complica e la luce si spegne: forse era un abbaglio o forse un segnale. Mai però ho pensato di essere padrone della vita, della mia vita. L’ho ricevuta, nel modo consueto e sono nato, come prima di me i miei genitori. Non posso nemmeno andare tanto indietro nel tempo, avendo conosciuto solo una nonna e, per pochi anni.

Come individui siamo unici e questo qualcosa vorrà dire se, nei più ormai di 120 miliardi di persone (genere homo sapiens sapiens) che hanno fino a oggi abitato la Terra, nessuno è mai stato replica di nessun altro. Somiglianze certo ce ne sono state e ce ne saranno, ma ognuno ha fatto storia a sé, con la propria testa, i propri sentimenti e un’anima, per chi ci crede.

Ci siamo riprodotti, ci siamo evoluti; ma non ci siamo fatti da soli, senza per questo invocare un disegno superiore. Ci siamo, da 3/400.000 anni, distinti in razze diverse ma con attributi simili, pur con caratteristiche proprie. Abbiamo una storia e forse anche un fine, ma questo appartiene alla fede e non alla biologia; evoluzione a parte.

La natura si è data delle regole che sono in armonia col creato e, sembrerebbe che nulla succeda per caso, nel senso che ogni atto dei viventi si iscrive in un quadro di relazioni intimamente collegate secondo complessi rapporti di mutuo equilibrio. Tutto risponde a una ragione, anche se spesso ce ne sfugge la causa e riusciamo a coglierne solo gli effetti. [la componente antropologica come causa dell’inquinamento atmosferico e del surriscaldamento è la spia degli equilibri sottili su cui si regge la Terra].

La riproduzione è affidata a un meccanismo gratificante, fatto per assicurare la continuità della specie, costretta a difendersi da mire antagoniste. La lotta per la vita non conosce tregua e richiede continui cambiamenti adattativi. Il sesso ci condiziona e ci turba, influendo talora sui nostri comportamenti, fino a alterarne la ragione e sfociare in violenze.

Il rapporto tra ontologia e antropologia rimane irrisolto e, gli insegnamenti che ci dovrebbero derivare dalla nostra storia, si fermano sulla soglia dell’esperienza personale. La scienza, coi suoi progressi, consente pratiche ardite che trovano sempre più spazio nell’ambito umano tra cui la fecondazione. Si può congelare lo sperma e inseminarlo a distanza di anni, facendo nascere esseri che non conosceranno mai i loro genitori, o perché defunti o perché anonimi per volontà. Donne non più naturalmente fertili, possono tornare a concepire e altre, possono anche prestarsi a fare figli per chi non ne ha o non può averne. I casi sono i più diversi ma, comunque si giri la questione, alla fine si arriva sempre a fare i conti con la nascita di un essere umano e la sua vita; non con un giocattolo.

Mi chiedo se questo sia amore? Sono convinto che chi ha cercato con insistenza di arrivare a avere un piccolo di cui prendersi cura, non gli farà mancare tenerezza e amore: ma basta questo a giustificare la procedura?  Non si tratta di essere tradizionalisti o di negarsi a sperimentare vie nuove, ma la vita non è merce di scambio: non è come andare al mercato e scegliere quello che più ci aggrada.

Non riesco a accettare l’idea che, quando non si possono avere dei figli, ci sia qualcuno disposto a prestarsi, come se stesse facendo un favore. Se non puoi tu, ci penserà qualcun altro o altra: dov’è il problema. Non è il sistema della ruota, dove si abbandonavano i figli illegittimi, che poi potevano essere adottati da altri. No qui si ordina un figlio su commissione e magari si sceglie anche come dev’essere e, se non è bello e sano, lo si respinge al mittente.

Gestazione Per Altri (GPA) si chiama la procedura; modo di dire alternativo a quello di maternità surrogata, ovvero una maternità non in proprio ma per altri. Ho un utero e posso farlo e così compio una buona azione a favore di coppie infeconde o omo, che aspirano a avere una giusta prole. C’è chi, convintamente sostiene che non c’è commercio perché l’operazione avviene gratuitamente, ovvero in modo solidale, ma anche ammesso che possa essere così, si ricade comunque nell’uso del proprio corpo a favore di altri. Questa pratica ha da sempre un nome, ma mi rendo conto che in questo caso il fine potrebbe sublimare la tecnica e renderla accettabile, anche se mi rimangono molte remore.

Non so cosa potrei pensare se fosse capitato a me.

Adalberto Notarpietro

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