Lo sviluppo delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale rappresenta il nuovo punto di partenza della storia dell’uomo?

Parlo di punto di partenza, piuttosto che di fine della storia, perché anche soltanto immaginare una fine della storia mi sembra poco realistico in questo primo scorcio del XXI secolo.

Ce lo rammentano le guerre, la scarsa stabilità, economica e sociale, delle nostre società e gli innumerevoli fallimenti a cui siamo andati incontro nella prospettiva di edificare migliori sistemi di governo.

Tra gli approdi possibili, continua, comunque, ad avere maggiore verosimiglianza la “fine” della storia disegnata da Aldous Huxley, nel suo distopico “Brave New World”, pubblicato nel 19321, che non quella immaginata, più recentemente, da Francis Fukuyama2 e fondata sull’idea di una definitiva affermazione nel mondo dei sistemi di democrazia liberale.

Naturalmente, sono consapevole di quanto precisato nel 2018 da Fukuyama che, denunciando di essere stato profondamente frainteso, ha fornito un’interpretazione autentica dell’espressione, da intendere come lo scopo o l’obiettivo della storia e non come la sua conclusione, e utilizzata, quindi, solo per esaminare la questione del punto terminale dello sviluppo umano e del processo di modernizzazione3.

Si tratta, evidentemente, bisogna convenirne con Fukuyama, di una prospettiva ben diversa rispetto a quella di Hegel e di Marx, che hanno forgiato il concetto, e di tutti quei pensatori che, sulla loro scorta, hanno preconizzato, in alcuni casi con certezza messianica, il “paradiso” di una società senza classi, punto finale della storia, che avremmo dovuto raggiungere attraverso la dittatura del proletariato, preceduta dalla rivoluzione sociale in tutte le nazioni del mondo.

Sappiamo bene come sono, invece, andate le cose. La storia non è finita e il determinismo dello storicismo appare, sempre di più, come una pericolosa fiaba per bambini ingenui.

Ben più profonda e duratura si annuncia, invece, la rivoluzione delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale che, abbattendo barriere temporali e spaziali, consentono non solo l’immediata interazione tra soggetti, ma fondano, anche, un approccio nuovo alla formulazione dei problemi e alla loro soluzione.

È facile immaginare, lo riscontriamo quotidianamente, il sempre maggiore impatto che questi strumenti avranno sull’organizzazione sociale, sul governo delle nazioni e sulla politica, oltre che, evidentemente, sulla ricerca scientifica e sulla cultura.

Tanto da poter sostenere che l’instancabile ricerca della verità condotta da Socrate, il suo metodo che ha improntato profondamente il mondo e la cultura occidentale, può contare, oggi, su un nuovo attore: l’intelligenza artificiale.

A irrompere sulla scena del Convito di Platone non è più soltanto Alcibiade4, ma anche una, almeno in apparenza, molto sobria intelligenza artificiale che, però, non sappiamo ancora cosa potrà produrre nelle dinamiche della nostra storia.

Euripide, nelle Baccanti, rappresenta Dioniso come un Dio potentissimo, mettendo in scena la contrapposizione tra il logos ordinato della città di Tebe e l’istinto irrazionale che vive nell’animo umano e a cui non si può sfuggire. Ma è veramente singolare come l’immagine della testa di Penteo, issata sul tirso della madre Agave, ricordi lo spettacolo delle teste innalzate sulle picche dai rivoluzionari francesi più di 2000 anni dopo5.

In entrambi i casi, però – ecco il tratto comune – ad essere protagonista non è l’individuo, ma la folla, la massa. È un gruppo di Menadi a fare a brani Penteo. È la folla a fare a pezzi e ad issare sulle picche le teste dei nobili e dei sostenitori dell’ordine costituito.

Dioniso non è, infatti, un dio dell’individuo, ma il dio della massa, delle pulsioni inconsce più profonde.

Gustave Le Bon, alla cui opera si ispirò anche Freud, descriveva la folla come un’entità unitaria, esaltata dal punto di vista emotivo, dotata di forza distruttiva e totalmente priva di controllo6.

L’AI appare espressione della più gelida razionalità, ma possiamo escludere che il suo sviluppo non la possa portare anche ad esprimere e interpretare i nostri istinti più profondi?

Dioniso, nell’epoca contemporanea, ha assunto, sempre di più, il valore paradigmatico della dimensione religiosa delle nostre paure che la recente esperienza di una pandemia irrefrenabile ha rafforzato, inducendo una parte della popolazione mondiale a identificare, con un processo mentale che sa molto della maschera continuamente mutevole del Dio, il virus con il vaccino, il veleno con l’antidoto.

Naturalmente Dioniso non si rivela, si mostra sotto mentite spoglie e sotto altri nomi, ma, possiamo esserne certi, è  presente anche nelle nostre società, ben lontane dall’aver raggiunto un’organizzazione razionale.

Non si tratta di semplici suggestioni letterarie, perché, come giustamente notava Giorgio Colli nel suo libro sulla “Sapienza greca”7, se Apollo è la divinità della sapienza trasmessa agli uomini attraverso le leggi, principio dell’ordinamento della società, Dioniso è la divinità della sapienza intesa come forma di comprensione esaustiva ed intuitiva della realtà.

Analizzando la tradizione orfica, Colli spiega come la distinzione sia, nello stesso tempo, anche espressione di unità: da una parte Apollo, come conoscenza ordinata di un corpo di regole, dall’altra Dioniso, come conoscenza esoterica del fondamento del mondo e dell’essere.

La maschera di Apollo nasconde il volto di Dioniso e anche l’AI, che oggi noi studiamo analiticamente, per meglio comprenderne le prospettive e le possibilità, potrebbe, un giorno, assumerne le fattezze.

Fukuyama ha sostenuto come sia ben difficile ipotizzare «una fine della storia senza fine dello sviluppo tecnologico», rilevando come le possibilità di manipolazione del comportamento umano aumentano sempre di più a motivo del progresso delle scienze della vita e che, se con l’ingegneria genetica o con droghe psicotrope, questa natura venisse deliberatamente alterata, tutte le partite sarebbero, allora, nuovamente aperte8.

In realtà l’innovazione tecnologica ha già riaperto tutte le partite. Dobbiamo esserne consapevoli.

Si tratta proprio di quanto preconizzato in “Brave New World” da Huxley, che narrava di un pianeta sotto il potere di dieci coordinatori e di una società gestita tramite pratiche scientifiche, come la manipolazione genetica degli embrioni e l’utilizzo sistematico di droghe.

“O wonder! How many godly creatures are there here! How beauteous mankind is! O brave new world, that has such people in’t”, esclama Miranda nella Tempesta di Shakespeare e l’ironica citazione di Huxley sembra, veramente, illuminare un possibile futuro.

Nel “Mondo Nuovo” di Huxley ogni memoria del passato, e tutti i libri, sono stati distrutti e gli individui sanno solamente che il pianeta è uscito da una lunga e devastante guerra, che ha spazzato via ogni tipo di organizzazione preesistente.

Si tratta di una prospettiva quasi ingenua rispetto alle possibilità offerte oggi dall’innovazione tecnologica, che mette a disposizione strumenti e modi più sottili ed efficaci per distruggere la cultura e la memoria.

In un palazzo immenso, di cui nessuno conosce l’architettura, potrebbero essere nascosti tesori, ma nessuno sarebbe in grado di trovarli.

È una metafora della rete che nasconde già di tutto, lecito od illecito che sia, ma in cui pochi hanno gli strumenti culturali per cercare e trovare. Per Umberto Eco sarebbe stato, naturalmente, relativamente semplice aggirarsi nella grande biblioteca di Internet e ritrovare autori e volumi che già conosceva9. Ma per chi si aggira nel mondo privo di un’adeguata cultura e, magari, non è mai entrato in una biblioteca, diventa un’impresa veramente ardua.

In questa situazione l’Intelligenza Artificiale giuoca un ruolo di primaria importanza.

Perché può divenire quel punto di riferimento capace di correggere i nostri errori e di stimolare una maieutica sistematica, altrimenti impossibile.

L’AI potrebbe, cioè, consentire di descolarizzare la società10, sostituendo finalmente un’educazione autentica ai rituali dell’educazione di massa. Come potrebbe, invece, divenire, in breve tempo, il soggetto che accentra tutti i poteri, trasformandosi nel governo unico di Huxley (senza la necessità di alcuna articolazione e dei dieci coordinatori immaginati dal grande scrittore).

La politica, per ora, con tutte le sue incongruenze, continua ad essere il regno dell’uomo, ma non è realistico immaginare che possa venir sottratta, per molto tempo ancora, all’innovazione tecnologica e alle possibilità che questa offre.

Le democrazie liberali tradizionali non si sono affermate definitivamente nel nostro mondo e ritengo che non riusciranno mai a farlo. Ma la democrazia può trovare, con la rete e l’AI, nuovi modi e forme per diffondersi adeguatamente nelle nostre società.

Nel nostro futuro, come è possibile il “Mondo Nuovo” di Huxley, è possibile, pure, una effettiva evoluzione dei sistemi democratici.

Ma come fare per garantire un vero dibattito politico, che coinvolga tutti, e permetta ad ognuno di esprimere il proprio punto di vista? Come far progredire forme di democrazia “tecnologica”, che ci consentano di implementare, significativamente, sia le usuali forme di rappresentanza che i meccanismi di partecipazione diretta alle decisioni degli organi pubblici? L’AI può offrire un reale contributo per salvaguardare le prerogative costituzionali dei cittadini?

La risposta è sì, ma non con certezza.

Non mancano, infatti, i rischi e le tentazioni, già evidenti in questo primo scorcio del XXI secolo.

Esaminiamo il caso delle nuove opportunità che l’innovazione tecnologica offre alla comunicazione tra individui.

Indubbiamente, oggi è possibile, e con estrema facilità, aprire un sito sul web o avviare una mailing list o una chat su specifici temi, raccogliendo, in breve tempo, migliaia di persone interessate. Anzi centinaia di migliaia, se si affrontano esperienze e problemi di carattere generale, legate agli argomenti che incidono in modo più significativo sulla nostra vita quotidiana.

Ma se i tradizionali ostacoli alla comunicazione e al dibattito sulle idee, la distanza e i vincoli linguistici, sono già, in buona parte, superati, altri vincoli e ostacoli sono sorti e stanno sorgendo.

La mobilitazione telematica è, oggi, una realtà, ma gli strumenti a disposizione risentono, in modo significativo, del tendenziale controllo della rete da parte dei governi e delle scelte dei grandi operatori tecnologici.

I rischi e i limiti del nuovo approccio alla politica sono, pertanto, evidenti e lo spauracchio del Grande Fratello, o del leader carismatico che si appropri della rete e di tutti i strumenti di comunicazione, non è venuto meno. La tragica esperienza del passato ci insegna che i regimi totalitari si fondano, innanzitutto, su attente strategie di comunicazione e che il controllo dei media è la loro prima preoccupazione.

Nonostante ciò, le possibilità della partecipazione alla politica offerte dall’innovazione tecnologica sono enormi e, indubbiamente, a fronte del declino, inevitabile e sotto gli occhi di tutti, delle tradizionali democrazie rappresentative, ciò consentirebbe di realizzare senz’altro forme di democrazia maggiormente partecipative.

Sinora le realizzazioni sono state mirate, almeno in Italia, soprattutto alla semplificazione dell’esistente (si pensi alla raccolta delle firme digitali per i referendum e i progetti di legge di iniziativa popolare), ma è chiaro che le tecnologie digitali e l’AI aprono nuove prospettive.

Né, la gran parte delle critiche legate a queste innovazioni sembrano cogliere nel segno, considerato che anche il tradizionale sistema di raccolta delle firme si prestava ad abusi e che l’introduzione della firma digitale non implementa, di per sé, la manipolazione dell’opinione pubblica, rendendo, invero, solo più agevole e veloce il processo di raccolta delle sottoscrizioni.

Quanto alla reale consapevolezza di quanto si fa e ai rischi di automatismo che le nuove tecnologie portano, indubbiamente, con sé, è evidente che si tratta di problematiche non nuove e a monte dell’utilizzo degli strumenti informatici.

In Italia, come noto, la Costituzione prevede gli istituti della petizione (art. 50 Cost), dell’iniziativa legislativa popolare (art. 71 Cost.) e del referendum, sia abrogativo (art. 75 Cost.) che confermativo (art. 138 Cost), in buona parte ripresi dagli Statuti delle Regioni ordinarie e speciali.

In particolare, l’esperienza regionale ha visto l’affermazione di forme ulteriori del referendum, rispetto a quello abrogativo tradizionale, quali il referendum consultivo, quello approvativo e quello propositivo. Quest’ultimo, in particolare, in alcune previsioni, sembra assumere i caratteri più che di un referendum, di un vero e proprio procedimento legislativo popolare, in cui ad approvare il testo di legge è, direttamente, il corpo elettorale.

Si tratta di una prospettiva di straordinaria modernità, anche se affidare l’approvazione delle leggi al corpo elettorale, potrebbe obiettare qualcuno, rischia di incrementare, ancora di più, il populismo che già caratterizza i nostri sistemi, andando, inoltre, incontro a difficoltà di carattere tecnico.

Guardando ad esperienze radicate in altri ordinamenti, molti di questi ostacoli sembrano, tuttavia, facilmente superabili.

Emblematica l’esperienza dell’Inghilterra in cui il Parliamentary Counsel Office, istituito nel 1867 alle dipendenze del Primo Ministro, svolge, in via ufficiale ed esclusiva, il compito di predisporre i testi normativi e di presentarli ai Comuni a nome e per conto del Governo11.

A differenza di quanto accade in Italia, infatti, in Inghilterra i singoli Ministeri non possono redigere autonomamente progetti di legge, ma solo inviare documentazioni e richieste al Parliamentary Counsel.

Sebbene l’esperienza inglese risenta delle peculiarità del sistema in cui si è affermata, è indubbio che la centralizzazione delle attività di redazione normativa permette non solo di soddisfare le esigenze di omogeneità e qualità del linguaggio giuridico, ma appare un elemento indispensabile per consentire di affidare l’approvazione delle leggi direttamente al corpo elettorale.

Va, poi, considerato che il sempre più importante ruolo svolto dalle tecnologie informatiche nelle società contemporanee ha condotto a creare specifiche discipline ed applicazioni, capaci di migliorare il reperimento, la conoscenza e la stessa produzione dei testi normativi.

Con riferimento, in particolare, all’applicazione delle tecnologie informatiche al processo di formazione e redazione della legge, la specifica disciplina che se ne occupa, sorta negli anni ottanta dello scorso secolo, ha assunto il nome di legimatica, termine frutto della crasi tra “legislazione” e “informatica”.

La legimatica si occupa, in particolare, della “modellizzazione del ragionamento e delle procedure relative alla produzione legislativa, rispetto alla redazione dei testi legislativi, all’attività politico-decisionale, all’analisi di fattibilità, alla verifica d’efficacia. Si rifà alla teoria normativa del diritto, utilizza metodologie logiche, linguistiche e pragmatiche (in particolare le tecniche legislative) per l’analisi dei testi normativi. Ha per scopo l’informatizzazione del processo di produzione normativa. Si propone di offrire conoscenze e strumenti informatici alle assemblee legislative e più in generale a tutti i produttori di norme”12.

L’intelligenza artificiale può implementare in modo significativo questi strumenti di drafting normativo, consentendo di sottoporre al voto dei cittadini testi normativi formalmente ineccepibili.

Si tratta, naturalmente, di applicazioni ancora da sviluppare e non esenti da rischi, in grado però di correggere una serie di gravi disfunzioni collegate al bicameralismo italiano, che hanno reso sempre più defatiganti i procedimenti legislativi ordinari, favorendo l’abuso di strumenti alternativi, come i decreti-legge e la pratica di porre la questione di fiducia sui maxi-emendamenti.

La possibilità di affidare alla popolazione l’approvazione delle leggi, su proposte predisposte tecnicamente dall’intelligenza artificiale, naturalmente assistita da esperti giuristi, permetterebbe, almeno in specifiche materie, di coinvolgere velocemente i cittadini su scelte significative che, altrimenti, i meccanismi politici attuali rischiano di compromettere e di intorbidare.

L’alternativa, anche essa facilmente realizzabile, considerati gli strumenti che offre oggi la rete, potrebbe essere quella di rendere sistematico il ricorso alla consultazione popolare, in modo da acquisire spunti e di confortare con l’opinione del corpo elettorale, ancorché non vincolante per i governi e le assemblee legislative, le scelte politiche più significative.

Il 21 maggio 2024 è stato approvato e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 12 luglio 2024 l’Artificial intelligence (AI) act, che classifica i diversi tipi di intelligenza artificiale in base ai rischi che comportano. Mentre i sistemi di AI che presentano un rischio limitato vengono assoggettati a obblighi e requisiti non particolarmente pregnanti, i sistemi di AI considerati ad alto rischio possono essere autorizzati, ma risultano soggetti a una serie di significativi requisiti e obblighi per ottenere l’accesso al mercato dell’UE.

Risultano poi vietati, tra gli altri, i sistemi di classificazione biometrica basati su caratteristiche sensibili e l’estrapolazione indiscriminata di immagini facciali da internet, o dalle registrazioni dei sistemi di telecamere a circuito chiuso, per creare banche dati di riconoscimento facciale. Come pure i sistemi che valutano i cittadini attraverso parametri online e offline, assegnando un punteggio in base ai loro comportamenti individuali.

È sicuramente questa la strada da percorrere. Un percorso di cautele e di regole per sfruttare appieno le possibilità che ci offre l’AI. E per scongiurare la profezia di un nuovo totalitarismo, pronto ad emergere dalle rovine di un sistema democratico inefficiente e, in buona parte, superato.

Nella prefazione a Brave New World, Aldous Huxley ha scritto: «Non vi è, certo, alcuna ragione secondo cui il nuovo totalitarismo debba assomigliare al vecchio. (…) Uno stato totalitario davvero efficiente è quello in cui l’onnipotente esecutivo dei capi politici e i loro eserciti di manager controllano una popolazione di schiavi che non debbono venir costretti perché sono giunti ad amare il loro giogo»13, ben scorgendo i rischi del futuro e il possibile approdo politico dell’innovazione tecnologica.

Sta a noi scongiurarli e fare del futuro un mondo migliore.

Stefano Amore

Magistrato, assistente di studio presso la Corte costituzionale.

 

Note

 

1 Aldous Huxley, Brave New World, Chatto & Windus, London, 1932 .

2 Francis Fukuyama, “La fine della storia e l’ultimo uomo”, prima edizione italiana Rizzoli, 1992

3 Francis Fukuyama “Trent’anni dopo, ritorno su La fine della storia?, pubblicato sulla Rivista “Vita e Pensiero” 2018, numero 3, pag. 10 e ss.

4 Platone, Tutte le opere, a cura di Giovanni Pugliese Carratelli, Sansoni editore, 1974. Il Convito, XXX, pag. 450 e ss.: “Ed ecco, un momento dopo, si sente nel vestibolo la voce d’Alcibiade, ubriaco fradicio, che strepitava”.

5 Euripide, Le Baccanti, nella traduzione di Edoardo Sanguineti, pubblicate da Feltrinelli e, più recentemente, da Se srl, furono messe in scena a Genova, in un memorabile allestimento, dalla compagnia del teatro stabile nel marzo 1968.

6 Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, trad. italiana di Lisa Morpurgo, Tea ed., 2004.

7 Giorgio Colli, La sapienza greca, I, Dioniso – Apollo – Eleusi – Orfeo – Museo – Iperborei – Enigma, Milano,
Adelphi, 1990, 9ª ediz.

8 Francis Fukuyama, op. ult. cit, p. 17.

9 Da vedere il bellissimo documentario “Umberto Eco: la biblioteca del Mondo” di Davide Ferrario.

10 Ivan Illich, Descolarizzare la società, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1972.

11 Stefano Amore, Digesto delle discipline pubblicistiche UTET, “Atti normativi (tecnica di redazione)”.

12 Così Losano, Corso d’informatica giuridica, Milano, 1984; Biagioli-Mercatali-Sartor (a cura di), Legimatica: informatica per legiferare, Atti della Giornata di studio Legimatica: informatica per legiferare. L’informatica al servizio degli organismi legislativi in Europa e in Italia, Firenze, 25-11-1994, citati da Stefano Amore, op. ult. cit.

13 “There is, of course, no reason why the new totalitarianism should resemble the old. A really efficient totalitarian state would be one in which the all-powerful executive of political bosses and their army of managers control a population of slaves who do not have to be coerced, because they love their servitude”, così Aldous Huxley, Brave New World, Penguin Books, Forward, 1958, p. XII.

 

About Author