“Che cosa hai fatto tu, tu che piangi senza posa, di’, cosa hai fatto , tu, della tua giovinezza?” ( Charles De Gaulle ).
L’intervento di Mario Draghi dello scorso 2 settembre denunciava dal punto di vista dell’economia l’insufficiente preparazione professionale dei giovani: e come si fa a dargli torto.
L’osservazione dei “fenotipi” giovanili che sciamano verso i luoghi di ritrovo, quali essi siano, impone tuttavia una riflessione a latere, che non concerne solo l’ambito della formazione professionale.
Il sentimento che essi muovono è quello della tenerezza mista allo sgomento: tutti in divisa da ” alternativi”, cioè adornati da criptici e vistosi tatuaggi, orecchino e piercing, che al tempo in cui i marinai genovesi solcavano i mari sotto l’insegna della Repubblica, erano distintivi dei galeotti e dei gaglioffi curvi sui remi; gli occhi un po’ perduti, assonnati, a volte le pupille dilatate, ( le discoteche, Covid-19 permettendo, aprono alle 23, mi è stato detto); il vocabolario scarno, alquanto primitivo; gli obiettivi di vita minimi, temporanei ed immediati; in pochi fra loro purtroppo sono capaci di pensare “oltre”, di esprimere personalità, anche apparenti, che non siano imposte dal mostro mediatico, che li manipola a piacimento, impedendo loro di entrare nel mondo della conoscenza e della ragione.
Già da giovanissimi, i più appaiono privi di un futuro umano e sociale, prima che lavorativo.
Difficilmente riescono a raggiungere l’età mentale adulta, che garantisce la capacità di entrare nella società non come parassiti, ma come esseri responsabili, forniti di conoscenza e maturità.
C’è qualche cosa d’altro, dunque, (non la sola impreparazione ad entrare nel mondo del lavoro) che li ha parassitati fin dall’adolescenza, trasformandoli in esseri passivi e rinunciatari, distaccati dal sapore della conoscenza, che comporta sacrifici ed impegno per essere raggiunto e gustato; quello che li innalzerebbe dalla pura e semplice soddisfazione di bisogni primitivi, che sola, porta alla semplificazione, se non alla nullificazione di sé?
Come si può intervenire in profondità, per salvare intere generazioni di giovani da un’esistenza vuota per sé e per la società, avviluppata entro alibi ed apparenti utopie, del tutto inconsistenti?
C’è di questi tempi la tendenza a confondere fra loro, e fra le loro funzioni, alcune delle attività che sono preposte alla crescita dei giovani: il concetto di formazione viene utilizzato “in versione limitata”, tecnico/pratica, trascurando i significati profondi di concetti quali istruzione ed educazione.
Formare, infatti, nel suo senso più intrinseco, significa modellare nella sua interezza l’essere umano nella sua fase di crescita, prima di provare a fornirgli gli strumenti per accedere al mondo del lavoro; e per fare ciò, il modellamento, la formazione devono assolvere una duplice funzione: educativa e dell’insegnamento.
E-ducare ed in-segnare hanno significati etimologici ben precisi: prima , infatti, si deve condurre fuori dal proprio stato zoologico l’essere umano, per poi scrivere, segnare, dentro al cuore ed alla mente gli elementi indispensabili alla sua maturazione ed alla sua trasformazione in uomo.
Solo in ultima battuta, la formazione forma lavoratori e professionisti. Se non c’è, nella formazione, l’obiettivo primo di trasmettere la “cultura”, cioè i saperi millenari che formano l’uomo, il cittadino e la società intera, e solo in seguito i saperi tecnici che preparano al mondo del lavoro, la formazione, monca dei suoi presupposti, fallisce il suo compito per il benessere della società nel suo insieme e degli individui nella loro singolarità.
La formazione, infatti, eleva l’individuo dalla dimensione zoologica, ed eleva anche successivamente, la modalità del recepimento del sapere tecnico, ma soprattutto della sua applicazione nell’ambito lavorativo, perché fa crescere la capacità intellettuale e la sostanza interiore più profonda; insomma stimola la mente e la sfera emotiva dell’allievo a provare il fremito del sapere, della cultura, intesa come strumento atto ad esplorare ciò che di misterioso, di superiore, di divino, di eterno, di sconfinato, c’è nell’uomo e nell’universo che lo circonda. Una tale formazione “profonda” fornisce alla società un uomo fatto e finito, pronto ad essere cittadino e soggetto lavorativo.
E’ dalla scintilla accesa nel giovane che scaturisce il desiderio sano di entrare nella società con le proprie competenze, e di assumersi la responsabilità di portare il proprio contributo, sia umano che professionale, al progresso dell’umanità, come è avvenuto per millenni. Ed invece mai come oggi il giovane appare avviluppato nella e vittima della rete del regresso, della “riprimitivizzazione”, del nichilismo, del cinismo, della nullificazione, dell’assoluto disinteresse per ciò che non lo “soddisfa” hic et nunc.
Invece di sentirsi spinto verso la ricerca dell’assoluto, o, per chi crede, del divino, che passa attraverso la perfezione dei numeri, la creatività mistica dell’arte, la scoperta delle leggi della natura, la potenza del ragionamento filosofico, la conoscenza del fluire della storia come disegno anche dell’intelligenza umana, dei segreti e dei meccanismi del corpo umano, dell’infinitamente piccolo dei sistemi microcellulari, e così via dicendo, il ragazzo di oggi si sente spinto da una forza inarrestabile verso desideri primitivi, verso orizzonti non più lontani di un proprio io ferino.
Una forza prevalente indotta da un “apparatchik” mediatico/culturale tende sempre più a mantenere o ricacciare gli aspiranti adulti dentro quella condizione primitiva dalla quale l’uomo, per necessità, ha invece sempre aspirato ad uscire.
In conclusione, se l’apprendimento del sapere tecnico da spendere nell’ambito professionale è lo scopo pratico della formazione, esso deve essere preceduto dal trasferimento di un sapere profondo, che rappresenta le fondamenta di ogni formazione, come le fondamenta degli edifici, che, a prodotto finito, non si vedono, ma senza le quali non possono esistere le costruzioni; lì si fonda la ragione profonda per cui , in seguito, vale la spesa di apprendere anche il sapere tecnico da usare in ambito professionale; solo in un tale contesto la nostra società ha visto nascere nel suo seno i grandi geni che le hanno donato progresso sociale, scientifico e spirituale.
Secoli di formazione o didattica, basati sul concetto del “prima l’uomo, poi il lavoratore” ci indicano la via per la costruzione di una società di uomini e non composta solo di passivi e parassitari consumatori.
Lorenzo Dini
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