Che i nostri cugini d’oltralpe soffrano di una abbondante dose di sciovinismo si sa da tempo. La “figlia prediletta della Chiesa” che allusivamente al cristianesimo irride – salvo poi nascondere la mano che ha lanciato il sasso e chiedere imbarazzate scuse – dal Re Sole alla Rivoluzione dell’ ‘89, da Napoleone alla “force de frappe “ non è che un ininterrotto inneggiare alla “grandeur” dei galletti transalpini.
Qualche volta esagerano, ma bisogna comprenderlo.
Tanta boria si spiega solo come forma collettiva ed inconscia di compensazione di qualche recondito complesso storico di inferiorità. In modo particolare, la rivalità è di frequente accesa nei nostri confronti. Quasi che Asterix ed Obelix ancora non riescano a digerire, a duemila e piu’ anni di distanza, le gesta di Cesare ed il “De bello gallico”.
Una rivalità che, non a caso, invade spesso anche il mondo dello sport. Ne dà, ad esempio, una splendida raffigurazione Paolo Conte con la bellissima canzone dedicata a Bartali “tra francesi che si incazzano” e quando lo vedono, “con quegli occhi allegri da italiano in gita”, in fuga sulle montagne del loro Tour “le palle ancora gli girano….”.
Ma anche sul piano politico succede che sprizzino scintille ed anche la normale dialettica è forse più puntuta che non con altri Paesi.
Ad ogni modo, a fronte dei valori dello sport che ogni Olimpiade evoca, sarebbe lecito attendersi che venissero esaltati il suo universalismo, la capacità unica di abbattere barriere e fare incontrare tanti giovani. Si potrebbe dire l’attitudine di dare libero sfogo alla competizione – diciamo pure al conflitto; “polemos” è pur sempre l’ anima del progresso – senza cadere nella distruttiva contesa bellica.
L’impressione di molti è, invece, che, snocciolando lungo la Senna una gerarchia di barche, barchini, battelli e barchette, la “France” abbia voluto, a costo di sacrificare l’immagine degli atleti, celebrare anzitutto se stessa.
Che anche l’Europa macroniana debba essere intesa a trazione francese?