Forse ancora non c’è l’eco necessaria che accompagna in Italia la notizia bomba che giunge da Parigi. La Francia ha deciso di nazionalizzare Électricité de France, EDF, la principale azienda energetica francese. Azienda pubblica fino al 2004, ha la necessità oggi di essere aiutata finanziariamente, e non solo per la crisi ucraina. Questa la vulgata ufficiale che ad un lettore medio fa sobbalzare sulla sedia, giacché da mesi siamo inondati da notizie sui mega profitti che, in tutto il mondo, stanno realizzando le società energetiche.

Inoltre, la parola “nazionalizzazione” torna nel lessico degli europei. Un termine che, nella furia ultraliberista a lungo dominatrice della cultura politica e economica del mondo occidentale negli ultimi decenni, era quasi stato del tutto cancellato da dizionari e vocabolari. Figurarsi ad osare pronunciarla in sede politica.

Colpisce, inoltre, che l’annuncio della nazionalizzazione fatto della Prima ministra Élisabeth Borne, sia giunto in contemporanea con l’altro che, in Italia, ha riguardato la nostra Tim. Si va esattamente nella direzione opposta con l’organizzazione di una sorta di “spezzatino” di cui non si conoscono i reali sbocchi. Si sa solamente che si divide la rete dai più remunerativi servizi e che, in entrambi i settori, si apre ulteriormente ai privati. Cosa che di per sé va benissimo. Ma è certo che bisognerebbe essere altrettanto certi che la rete, costruita a spese degli italiani, quando la Telecom loro apparteneva e che oggi è utilizzata anche dagli altri operatori fino al fatidico “ultimo miglio”, risponda non a logiche privatistiche, ma rispetti la necessità della salvaguardia in primo luogo degli utenti.

Parlando di Tim, sarà una cattiveria, siamo costretti a diffidare. E perché? Perché l’allora Telecom fu al centro di una delle privatizzazioni che avviarono una pratica generalizzata che ci fa trovare più poveri di prima, visto che abbiamo svenduto anche tanti “gioielli di famiglia”, all’insegna di un’idea di liberalizzazione che poi non c’è stata o che ha favorito solo alcuni e non sempre i consumatori.

Il Governo e le forze politiche generalmente sembrano tacere sul tema. La stampa si limita a pubblicare le roboanti dichiarazioni dei vertici Tim. Tutte infarcite di vocaboli economico – finanziari tecnici, rigorosamente in inglese, e in alcuni casi lasciano aperta la possibilità che il piano annunciato possa pure avere esisti persino diversi da quanto oggi sperato. Qualcuno, lo hanno fatto anche i principali sindacati ad inizio anno, si pongono il quesito se non si apra la strada alla creazione di una “bad company”, quella ovviamente della rete, ma che per noi utente è, invece, la cosa principale, con il rischio di creare un nuovo caso ispirato alla fallimentare, folle e costosa esperienza dell’Alitalia.

Non è allora opportuno che si guardi per tempo alla fresca esperienza francese per affrontare il problema subito e risparmiare tutto quello che Alitalia c’è costato? Oggi, non ci possiamo permettere né manager spregiudicati né di “capitani coraggiosi”, quelli che sono ardimentosi quando c’è da incassare, ma molto meno quando c’è da investire del loro.

Sarebbe il caso che Governo e partiti si occupassero subito di Tim e ci facessero sapere come stanno le cose?

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