L’intervento odierno segue la prima parte pubblicata ieri  (CLICCA QUI)

I ferventi sostenitori del nuovo Istituto,invero, descrivono un sistema idealizzato di risoluzione alternativa ed etica della controversia penale che non trova alcun riscontro nella disciplina normativa e che ne ignora, volutamente, l’ontologica incompatibilità con la presunzione d’innocenza e con la funzione cognitiva del processo penale.

Il punto di maggiore criticità è rappresentato proprio dalla scelta di includere la giustizia riparativa nel processo penale in modo tale da istituzionalizzarlo, con tutte le conseguenze anche in termini di spesa pubblica (4 milioni e mezzo di euro all’anno), che costituisce un percorso che,se fosse rimasto in ambito privato e volontario, avrebbe avuto pochissime possibilità di essere finanziato per glii Denti Pubblici e le Associazioni del Terzo settore delegati alla istituzione e gestione dei dei Centri.

Del resto, risponde a una logica elementare che la riparazione presuppone l’accertamento della rottura dei rapporti sociali o interindividuali ad opera dell’imputato.

Al di là della descrizione quasi ideale della “cornice riparativa”,al mediatore è rimessa dal Giudice o dal PM, con decisione d’ufficio,ben diversa dalla libera scelta delle parti, la risoluzione alternativa della questione penale.

Pertanto, cosa si deve intendere per riconoscimento della vittima o responsabilizzazione dell’impu tato e ricostruzione dei legami con la Comunità (rectius, società)?

Nell’ipotesi più laica, si dà per scontato che ci sia un autore di reato da responsabilizzare, una vittima da riconoscere,in quanto soggetto che ha subito il reato, e una Comunità che attende giustizia, magari anche solo riparativa.

Nella versione moraleggiante,che è poi quella che va per la maggiore, la responsabilizzazione dell’imputato sottende il suo pentimento, il riconoscimento della vittima passa attraverso la riparazione materiale o simbolica, mentre la Comunità diviene il Giudice popolare disposto al perdono stragiudiziale e ad accogliere nuovamente l’imputato che abbia compiuto tangibili atti riparatori.

Come se ciò non bastasse, la giustizia riparativa delinea un procedimento incidentale senza garanzie, in cui il difensore non è ammesso,mentre sono graditi ospiti le Associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato, le  Regioni, gli Enti locali o  altri Enti pubblici, l Autorità di pubblica sicurezza,i Servizi sociali (art. 45 lett. c D.lgs. n. 150) ovvero chiunque altro vi abbia interesse (art. 45 lett d D.lgs. cit.).

Come si giustifica che l’accusato sia lasciato solo dinanzi a questa specie di  “Tribunale del Popolo” composto,addirittura, anche  dalla Polizia?

Ma soprattutto, perché chiunque vi abbia interesse può partecipare, ma non il difensore che sarebbe il primo ad avere un interesse,per di più qualificato, per il proprio assistito?

C’è una sola possibile chiave di lettura ed è il malinteso ruolo del difensore visto come “complice processuale” dell’imputato e, pertanto, escluso dal procedimento riparatorio ma che contribuisce ad avviare con l’istanza al Giudice.

Alla garanzia della giurisdizione si sostituisce “la figura mitologica” del mediatore, psicoanalista più che giurista, attento alle parti più che alle loro contrapposte ragioni di fatto e di diritto.

Secondo tale opinione,sarebbe opportuno interrogarsi sulla scelta di delegare la risoluzione dei conflitti interpersonali integranti il reato non più ai Giudici,ma agli Operatori Sociali.

Viene da chidersi se questo sia il nuovo modello di giustizia penale al quale aspiriamo(?)

Sulla stessa linea è il commento di A.Manna(v.il Riformista,Giugno 2024) che afferma che  la giustizia riparativa costituisce il “fiore all’occhiello” della riforma Cartabia, tanto è vero che la stessa riforma, è stata posticipata nella sua entrata in vigore al 30 dicembre dello stesso anno e, soprattutto,riguardo ai decreti attuativi attinenti, al 30 giugno 2024.

Più in particolare,si sottolinea che l’intervento legislativo è stato “timido” perché, a livello di diritto penale sostantivo,è stato limitati alla estinzione del reato per condotte riparato rie, limitatamente ai reati perseguibili a querela di parte, ed inoltre sono stati modificati gli artt. 62 n. 6, 152, 131 bis e 168 bis C.P…

Per quanto attiene al diritto processuale penale la norma fondamentale risulta l’art. 129 bis C.P.P. che faculta l’Autorità Giudiziaria, in ogni stato e grado del procedimento, di disporre l’invio dell’imputato e della vittima al centro per la G.R in maniera del tutto discrezionale, anche senza il consenso delle parti processuali..

Anche l’Ordinamento penitenziario è stato modificato, con riguardo soprattutto all’art. 13, ove al 3° comma ed all’art.15-bische  offre l’opportunità al condannato una riflessione sul fatto criminoso commesso, sulle motivazioni e le conseguenze prodotte, in particolare per la vittima, nonché sulle possibili azioni di riparazione.

Non vi è dubbio che,in questo caso,la radice della G.R. sia di carattere cattolico, tanto è vero che fu propugnata dal Centro di Studi giuridici dell’Università Cattolica di Milano e dalla Caritas.

Tale ascendenza ideologica,tuttavia,non comporta un rifiuto di tale prospettiva per il laico, in quanto anche per quest’ultimo,un percorso di mediazione tra l’autore del reato e la vittima comporta un benefico effetto sia a livello sociale che in chiave costituzionale nell’ottica di un rafforzamento dell’art. 27, 3° comma, Cost., sia sotto il profilo dell’”uma nità della pena”, ia sotto quello della rieducazione e  risocializzazione del reo.

Gli aspetti non favorevoli alla G.R. riguardano i reati senza vittima, oppure di criminalità organizzata,oppure ancora gravi fatti di sangue come i femminicidi,ove purtroppo la vittima è stata fisicamente eliminata.

Resta l’impressione nonostante l’esistenza di importanti esperienze straniere,sia europee che americane,che ancora la nostra Collettività non sia pronta ad accettare in toto la G.R. proprio perché di fronte a un reato, soprattutto se particolarmente grave,si fa subito avanti il senso di vendetta da parte della Collettività, che costituisce l’antitesi della G.R. ma che non è facile esorcizzare, proprio perché ,nell’inconscio collettivo della popolazione  la riparazione è ancora purtroppo emotivamente la funzione che si esige dalla pena detentiva.

L’Ammissione alla Giustzia Riparativa

Da ultimo merita di essere segnalato su queste Rivista l’orientamento della Magistratura scaturito dalle prime decisioni in tema di ammissione alla Giustizia Riparativa.

Secondo alcuni commentatori(tra cui v F.Fiorentin  Giustizia riparativa fuori dal processo, Il Sole24ore luglio 2024),la Giustizia Riparativa non avrebbe natura giurisdizionale ed  i “paletti” messi dai giudici contribuiscono a frenare l’avvio dei programmi.

Secondo tale opinione, comunque non condivisibile,il procedimento riparatorio si porreb be, piuttosto, in chiave di complementarietà “integrativa” del procedimento penale, nel quale si può innestare in qualsiasi stato e grado del giudizio e per qualsiasi reato..

I programmi riparativi e le attività ad essi connesse non apparterrebbero dunque, al procedimento penale, ma “all’ordine di un servizio pubblico di cura della relazione tra persone, non diversamente da altri servizi di cura relazionale ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale”.

In tal modo un siffatto procedimento sarebbe fyuori dal Giudizio pendente al punto che sarebbe pensabile che,come la mediazione civile ,potrebbe precedere il Giudizio stesso se svolto prima dell’apertura del dibattimento.

Tale convinzione emerge chiaramente dalle sentenze emesse dalla Cassazione  che, da ultimo,con la sentenza 24343 depositata il 20 giugno, ha precisato le conseguenze di alcuni “paletti”, già in parte messi dalla giurisprudenza, che rischiano di frenare ancora l’avvio dei programmi di giustizia riparativa, già in stand-by a causa dei ritardi organizzativi accumulati sul fronte della istituzione dei Centri per la giustizia riparativa e dell’accreditamento dei mediatori, come innanzi segnatato..

Per la Cassazione, poiché l’oggetto e la finalità del percorso riparativo sono essenzial mente diversi da quelli del processo penale, non possono in entrambi operare gli stessi principi,anzi,l’avvio del percorso di restorative justice potrebbe addirittura prescindere dalla sussistenza di un procedimento penale in corso. Copn ciò confermando la Suprema Corte la volontà che sia antecedente al processo.

Ciò comporta – secondo i Giudici – che, all’interno del procedimento riparativo, operino regole peculiari di norma non mutuatili da quelle del processo penale e, anzi, con esse spesso incompatibili come volontarietà, equa considerazione degli interessi tra autore e vittima, consensualità, riservatezza, segretezza.

Da tali premesse, la Cassazione – consolidando una linea interpretativa già affermata in precedenti pronunce (si veda Cassazione 6595 del14 febbraio 2024) fa derivare una serie di ricadute sistematiche di notevole impatto operativo.

Anzitutto, viene riaffermata la natura discrezionale del provvedimento,non gravata da alcun onere motivazionale,della decisione sull’invio della parte a un Centro di mediazione (si veda anche Cassazione 25367 del 9 maggio 2023) e la conseguente non impugnabilità del provvedimento con il quale il Giudice non accolga l’istanza della parte, respingendo anche la domanda di sospensione del processo.

In secondo luogo,la Cassazione precisa che la giustizia riparativa non può essere richiesta alla Corte stessa né in sede di legittimità si può invocare la sospensione del procedimento penale pendente per consentire all’imputato ricorrente di partecipare ai percorsi riparativi

Durante il giudizio di legittimità, dunque, le parti dovranno rivolgere la relativa istanza al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (articolo 45-ter, disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale),ovvero potranno attivarsi nella fase esecutiva, a valle del passaggio in giudicato della sentenza di condanna (così Cassazione 16704 del 22 Marzo 2024)

In conclusione si può affermare che,al fine di dare concreto avvio alla Giustizia Ripara tiva,oltre alla buona volontà degli Operatori,serve qualche ritocco alla disciplina introdotta con le migliori intenzioni ma,soprattutto, la volontà del Legislatore di avviare una Riforma epocale che può contribuire ad evitare le lungaggini processuali che sono il vero problema da affrontare e risolverli,specie per i detenuti….

Mario Pavone

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