Si fa un gran parlare, ormai da lungo tempo e spesso retoricamente o strumentalmente (per accaparrarsi un po’ di voti) della c.d. fuga dei cervelli all’estero; soprattutto in questo, primo lasso di tempo del terzo millennio. E penso anche a quanti, innumerevoli giovani del Mezzogiorno, della Puglia e nondimeno della Daunia sono stati costretti – e lo saranno di certo se non cambia, in meglio, la politica economica e dello sviluppo – a cercare un’occupazione decorosa e sostenibile a Roma (v. mia nipote, avvocata), a Milano (mia nipote grafica web) e penso pure a quelli che sono dovuti fuggire addirittura in America (il figlio del mio amico, romano, Massimo, che studia all’Actor studio), in Australia (Francesca, figlia di miei conoscenti) o in Asia (mio nipote, avvocato specialista in diritto sportivo).
Per ognuno di loro esprimo piena solidarietà ed un vivo, profondo apprezzamento/compiacimento per il coraggio nonché il senso di responsabilizzazione professionale che li ispirano e che dimostrano, giorno dopo giorno, nel vivere lontano dai propri affetti, dal luogo prescelto dai propri avi e genitori; ma che i nostri politici al governo del Paese o in Parlamento non sono stati in grado di tutelare e valorizzare.
Altrettanto si può dire di quanti, come me e mia moglie, si sono decisi, sia pur malvolentieri, ad abbandonare il centro storico di Roma, similmente a quelli che si allontanano da Milano o Firenze. Cause varie, insuperabili e immodificabili da decenni:
a) caos di giorno e notte, difficoltà enormi di parcheggio, danneggiamenti continui all’autovettura, et cetera;
b) tenore di vita troppo elevato ed in costante crescita, nonostante le fonti ufficiali affermino il contrario, nel senso che l’inflazione sarebbe sotto controllo;
c) carenza, se non mancanza, di decoro urbano ed insufficiente gestione dei rifiuti urbani, scarsissima efficienza del trasporto pubblico.
Quindi i centri storici sono destinati a diventare, kafkianamente, dei quartieri dormitorio dominati da un turismo spesso “mordi e fuggi”, di massa, abbandonati dai cittadini residenti.
La terza tipologia di fuga è quella che attiene agli enti disciplinati dagli artt. 39 e 40 Cost. Entrambi stanno attraversando un periodo non felice o meglio nero. A tal riguardo rievoco la battuta ironica di Ennio Flaiano:”la situazione in Italia è sempre grave e non seria”. Crollati i partiti storici della nazione che determinarono la ricostruzione post-bellica e lo sviluppo infrastrutturale, questa nuova generazione è in profonda crisi esistenziale, vittima delle leadership e di una politica social o d’immagine, priva di contenuti valoriali e di programmi a medio-lungo termine credibili e affidabili per affrontare i problemi del Paese. I partiti vivacchiano, in buona sostanza, di luce riflessa grazie alla capacità comunicativa del leader, soprattutto di parlare alla “pancia degli italiani” e di attaccare gli avversari/nemici della fazione opposta.
Ma oggi il loro ruolo è messo molto in discussione dall’opinione pubblica prevalente. La quasi totalità dei partiti italiani deve, in buona sostanza, ricorrere a metodi di autogestione moralmente eccepibili e legalmente contestabili. Tant’è che, di tanto in tanto, la gente afferma con un pizzico d’ironia a Roma: “aridatece er gobbo …”.
In campo sindacale, infine, posso parlare per esperienza diretta e reiterata nel tempo a distanza di qualche decennio, comunque non positiva ed improduttiva nell’interesse generale (avrei voluto tanto occuparmi, nell’ultima vicenda, del problema drammatico delle vittime sul lavoro; invano!). Le organizzazioni sindacali ebbero un ruolo essenziale sia nell’affermazione dei diritti fondamentali del lavoratore, sia nella compartecipazione allo sviluppo industriale, agricolo e al progresso delle PP. AA. Oggi tutto ciò è molto discutibile e da dimostrare, anche alla luce di bilanci non proprio trasparenti e di un carrierismo condannabile, che spesso è venuto alla ribalta della cronaca nazionale e locale. Purtroppo, con un sistema di controllo che non funziona, né in riferimento alla contabilità finanziaria, né in ordine all’effettiva rappresentatività nazionale e aziendale.
Che dire? La speranza è l’ultima a morire. Sebbene, visto e considerato quanto sopra esposto, temo che il fenomeno dell’assenteismo tenderà a crescere ancora, prova di un distacco tra il Paese reale e quello “legale” o istituzionale che è grandissimo, una piaga della democrazia moderna tanto difficile da conservare e difendere tra l’indifferenza e l’ignoranza di quello che veniva definito, all’epoca del regime, il “popolo bue”.
Michele Marino