Da decenni, da almeno tre a questa parte, non c’ è più, nel “discorso pubblico” del nostro Paese, nessuna voce di respiro politico, che rimandi ad una concezione cristiana della vita e della storia.
Voci isolate, appelli, esortazioni generose, attestazioni di buona volontà e speranze, ma nulla di sostanziale, di strutturato ed organico in termini di complessiva visione politica, di programma, di indicazione delle priorità su cui concentrare l’impegno dell’intero Paese.
Perorazioni sociali sicuramente accorate e sincere, approfondimenti culturali, richiami alla coscienza ed anche alla dimensione spirituale dell’impegno politico, ma tutto si trattiene al di qua, nello spazio del “pre-politico”, qualunque esso cosa voglia dire.
È come se i cattolici per primi, a fronte di un mondo inquieto, non avessero più fiducia in quel tanto di profetico che una visione cristiana reca pur sempre con sé, tale da poter essere tradotto, con la necessaria fatica ed altrettanta prudenza, anche sul piano dell’ azione politica. Quasi pensassero che con la politica si sono scottati una volta le mani, nel lungo decorso della Prima repubblica, per cui istintivamente si ritraggono.
C’è fors’anche un pizzico di ignavia ed un po’ di cinismo e di rassegnata indifferenza. Una ritrosia a mettersi in gioco, quasi che si pensi che la politica sia davvero, per forza di cose, se non “sporca”, come molti ritengono, comunque tale da insidiare e compromettere il patrimonio di illibata coscienza che molte “anime belle” custodiscono anche come pulpito da cui scaglia o la loro severa condanna sui “politicanti”. E questa dev’essere una cosa che fa sentire taluni innocenti ed in pace con sé stessi.
Dopo la scomparsa della Democrazia Cristiana, per la verità, i cattolici c’hanno provato, ma si è trattato, più che altro, di tattiche di sopravvivenza di gruppi dirigenti in ritirata. I quali, non a caso, si sono, in un certo senso, arruolati nella “legione straniera”, cioè di fatto subalterni, dall’una e dall’altra parte, a culture che non erano la loro. Hanno dovuto registrare l’inevitabile fallimento di questa china accomodatizia.
In molti ambienti, peraltro, nel clima di studiata esecrazione della lunga vicenda politica della Democrazia Cristiana, tutto ciò è stato vissuto, anzi vantato, come una sorta di liberazione da un presunto giogo cattolico. Per taluni, retaggio di un’età, se non oscura, comunque lontana dalle luminarie di un magnifico e progressivo, solare destino riservato all’ineluttabile progresso dell’umanità. Un progresso necessario, cioè, è di per sé inscritto nell’ordine naturale delle cose, di fatto automatico ed inarrestabile, capace di farsi da sé, in ragione di una virtù intrinseca alla storia. La quale, a sua volta, si sviluppa per intero nell’immanenza del quotidiano succedersi degli eventi, lontano da ogni suggestione provvidenzialistica, da ogni allusione a quella dimensione della trascendenza che rappresenterebbe il baco che corrode il pensiero dei cattolici e lo renderebbe storicamente e politicamente inattendibile.
Di questa presuntuosa, in effetti, ingenua e banale impalcatura ideologica non è rimasto che cenere, talche’ – traslato sul piano delle sue derivate di ordine immediatamente politico – un tale percorso è approdato a riconsegnare il Paese ai fascisti e, addirittura, alla loro pretesa di egemonia culturale, destituita, peraltro, di ogni plausibile fondamento.
In altre parole, si comincia ad avvertire i limiti di questa asportazione chirurgica della cultura politica del cattolicesimo democratico e popolare dal corpo dell’ Italia.
Tanto per chiarirci, al di là di ogni possibile equivoco, come su queste pagine è stato detto ad iosa, non si tratta certo di pensare al cosiddetto “partito cattolico” – che, peraltro, come tale, non è mai esistito – ma di tornare a seminare, inaffiare, nutrire e far crescere, custodire con tenacia e pazienza un seme di ispirazione cristiana in campo politico. Questo sì . E non per presunti interessi di parte cattolica, ma per il buon governo del Paese.
Una cultura politica guidata non da astratte ossessioni ideologiche, ma dal principio del primato della “persona”, con tutto ciò che ne deve conseguire, è sicuramente il miglior candidato ad orientare gli sviluppi di società aperte come la nostra.
Domenico Galbiati