A voler fare un forse azzardato riferimento storico, ardito come molte comparazioni del genere, ma utili per una visione “impressionistica” delle cose, quando cioè anche la politica si sintetizza in poche pennellate di colore, Salvini e Giorgetti fanno tornare con la mente al dualismo Mussolini – Grandi. Uomo di teatrale comunicazione il primo, e sempre attento a non dimenticare il sentimento avanguardista dei militanti fascisti. Uomo d’ordine, nel senso borghese del termine, il secondo che per due decenni, sia pure con grande discrezione, fece il controcanto al Duce; e questa fu cosa ignorata a lungo dalla stragrande maggioranza degli italiani.
Grandi si prese la soddisfazione di vincere alla fine. Quando, con lo sbarco degli anglo americani sulle spiagge siciliane, divennero inevitabili la riunione del Gran consiglio del 24 – 25 luglio del ’43, la defenestrazione di Mussolini e tutto quello che ne seguì.
In Italia, però, in questi giorni non c’è stato alcun sbarco e, così, il Consiglio federale della Lega ha rinserrato le fila attorno a Matteo Salvini e lasciato sostanzialmente solo Giancarlo Giorgetti.
Molte le componenti che hanno portato alla decisione, condita da espressioni abbastanza dure ( CLICCA QUI ) cui si sarebbe lasciato andare Salvini intenzionato a continuare a parlare da vero e proprio “padrone” del partito. Non gli è proprio giunta gradita la recente uscita del Ministro per lo Sviluppo economico sull’ipotesi di un sostegno alla salita di Mario Draghi al Quirinale in un’ottica di semipresidenzialismo, cosa che ci ha fatto parlare di “politica creativa”( CLICCA QUI ). Mal gliene incolse a Giancarlo Giorgetti a dire la sua. Adesso è costretto a dire: “galeotto fu il libro …”
Una “politica creativa” che, stando alle cronache, non avrebbe disturbato solo Matteo Salvini. Ma anche altri capi della Lega i quali, evidentemente, non gradiscono che sia un loro pari, come considerano in fondo Giorgetti, a trattare direttamente con Mario Draghi. Non solo. E’ evidente che la linea salviniana di “governo e di lotta” non dispiace né a Zaia né a Fedriga. In qualche modo, la si può vedere come un adattamento degli insegnamenti bossiani. Il fondatore della Lega, a lungo, si prese il massimo possibile dallo stare a governare a Roma, mentre intanto s’imbarcava nelle simboliche raccolte dell’acqua delle sorgenti del Po, nella creazione del Parlamento della Padania, nella ideazione delle ronde leghiste e nel propalare il “celodurismo” secessionista, razzista e antiromano. Buffe e colorite espressioni, ma al tempo stesso emblematiche di quella idea di provare ad essere Stato nello Stato prima di godersi la spaccatura dell’Italia.
Un qualcosa da cui Giorgetti/ Grandi intende tenersi a considerevole distanza. Così come, al ministro più importante in quota Lega, non va l’idea di perpetuare gli atteggiamenti antieuropeisti salviniani. Meno che il coltivare un alone ambiguo per ciò che riguarda i rapporti con Putin o la nostalgia per Donald Trump. Per questo l’esponente leghista ha provato a sostenere la possibilità, in realtà negata anche dal Ppe, di compiere un avvicinamento ai popolari europei, cosa su cui tornerò in conclusione. Salvini risponde a muso duro: intende viaggiare con Orban e i polacchi lungo una linea di estrema contrapposizione a Bruxelles e alla maggioranza Ursula che vi è nata. Con Salvini si è schierata tutta la Lega.
Giorgetti è dunque in “esilio” in via Molise, 2, dove ha sede il suo ministero, come lo fu per sette anni Grandi a Londra dove venne spedito a fare l’ambasciatore dopo essere stato Ministro degli esteri? Cosa significherà il suo rappresentare una voce diversa, distinta? Alla luce delle decisioni del Consiglio federale leghista, persino autonoma?
E’ evidente come il suo realistico filo europeismo stoni con la vicinanza salviniana ad Orban e ai polacchi, finiti proprio ai ferri corti con Bruxelles. Bisognerà dunque vedere, laddove l’Italia dovesse partecipare all’assunzione di decisioni drastiche nei confronti di Budapest e Varsavia, quali saranno il peso e la qualità del suo voto nel Consiglio dei ministri dove, oggi, siede senza truppe alle spalle. Eppure, la posizione di Giancarlo Giorgetti resta sulla strada di Matteo Salvini come ineludibile pietra d’inciampo perché rappresenta un’ipotesi politica diversa con la quale il leghismo deve fare prima o poi i conti, in ogni caso. A breve lo dimostreranno tante cose, a partire da quelle che si materializzeranno in occasione del voto per la Presidenza della Repubblica e le conseguenze che ne discenderanno.
Infine, un veloce accenno alla questione dei possibili rapporti della Lega con il Ppe. Su questo si deve riconoscere che Salvini la sua coerenza ce l’ha: la Lega non ha niente a che fare con il popolarismo, il quale declina in maniera davvero diversa le questioni della salvaguardia dei territori, della famiglia e dei corpi intermedi. Che poi ci siano stati dei forti sbandamenti del Ppe negli ultimi anni è un elemento non contestabile. Dovuto al fatto che anche nella grande ed articolata famiglia dei popolari hanno finito per prevalere troppo a lungo politiche di estrema austerity e non inclusive, destinate pure a favorire alcuni paesi a danno di altri. Ma più il Partito popolare europeo riuscirà a tornare, come sembra intenzionato a fare, ad un solidarismo effettivo e più la distanza con il salvinismo emergerà in maniera ancora più lampante.
Giancarlo Infante