La furia anti magistrati è tracimata anche a livello internazionale dopo la clamorosa decisione della Corte Penale internazionale di accogliere la richiesta della Procura di spiccare un mandato di cattura contro Netanyahu e il suo ex Ministro Gallant. Ma cosa lasciata per strada da parte di molti commentatori è che il provvedimento ha riguardato anche i principali capi di Hamas, di cui, però, due sono sicuramente stati uccisi dagli israeliani.

E per tutti loro, la cosa nasce dal 7 ottobre dello scorso anno a seguito dell’attacco terroristico del gruppo armato palistinese che controllava Gaza cui è giunta una risposta militare israeliana che finora ha provocato decine e decine di migliaia di morti e di un numero ancora superiore di feriti e mutilati. Non si tratta solo di terroristi di Hamas, bensì, nella maggior parte, di donne e bambini oltre che tantissimi altri innocenti e rei solo di essere finiti a vivere nella Striscia di Gaza.

Il processo vero e proprio ai deferiti dinanzi alla Corte, però, deve ancora cominciare. Siamo ancora in attesa della fase processuale nel corso della quale gli accusati avranno tutte le possibilità di far valere le proprie ragioni. Cosa ben diversa dalla risposta di Netanyahu il quale ha reagito parlando di antisemitismo. Tesi abbastanza difficile dal condividere visto che la Corte Penale è fornata da magistrati provenienti da tutte le parti del mondo e che non risultano far parte di organizzazioni pregiudizialmente ostili agli ebrei.

Come accade sempre più spesso alla politica italiana, il rapporto con la magistratura è difficile. Ma non ci si può che affidare al Diritto. E questo non può valere solamente quando le accuse riguardano solo dittatori o autocrati come Putin e Milosevic, oltre che i capibanda africani che si sono macchiati di gravi crimini e di veri e propri genocidi.

Certo colpisce che le decisioni della Corte riguardano per la prima volta un capo di governo eletto democraticamente in quella che viene considerata l’unica democrazia del Medio Oriente. Ma questo non incide minimamente sulla necessità di appurare, anche a livello giudiziario, cosa sia accaduto, e che ancora continua, a Gaza, oltre a ciò che sta dinanzi agli occhi di tutti da oltre un anno.

Colpisce ancora di più un altro elemento che questa vicenda ripropone: la mancata adesione alla Corte internazionale dei paesi più importanti del mondo. Sono una piccolissima quantità, ma sono anche quelli dotati più degli altri di terribili capacità di distruzione e la loro decisione di non aderire la dice lunga dell’intenzione di non risponder dei loro atti, o di quelli dei componenti dei propri eserciti.

I giornali, intanto, hanno dato ampio risalto alla decisione di Joe Biden di inviare all’Ucraina le mine antiuomo. A proposito delle quali bisogna ricordare l’esistena di un Trattato mondiale, detto anche Convenzione di Ottawa, che, dal 1997, vieta l’uso, la detenzione, la produzione e il trasferimento di mine anti persona e impone la distruzione degli stock esistenti, nonché l’assistenza alle vittime del loro uso. Gli Stati Uniti, sebbene non tra i firmatari del Trattato, si erano impegnati nel 2014 a distruggere il proprio arsenale di mine antiuomo. Ma nel 2020 la decisione era stata annullata da Trump. Due anni dopo, però, l’Amministrazione Biden ha avuto un ripensamento ed annunciato, pur sempre senza sottoscrivere il Trattato, di aveva rinunciato all’utilizzo, alla produzione ed acquisto di questo tipo di micidiale arma, ad eccezione della Penisola coreana.

Il Trattato ricevette un’ulteriore implementazione dalla Convenzione di Oslo del 2008  mentre continuava l’attività della Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine Terrestri (International Campaign to Ban Landmines) cui ha aderito, nel dicembre 2005, anche l’Ucraina, allora terzo produttore mondiale di
mine. E’ pensabile che proprio in conseguenza di quella adesione, l’Ucraina si è poi decisa adesso a chiedere agli Usa la fornitura appena concessa.

Giancarlo Infante 

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