La scorsa settimana (per la precisione, domenica 15 settembre ), Avvenire ha dedicato un ampio e documentato servizio alla penetrazione in Africa di Cina e Russia.
Si tratta di un processo che dura almeno da qualche decennio, senonché nell’attuale contesto internazionale, questa sorta di “neo-colonizzazione” acquista un’evidenza e un valore del tutto nuovi. Anche perché , come fa presente il quotidiano cattolico, assume una forma inedita. Non concerne solo profili commerciali, oppure investimenti in opere e strutture civili, bensì programmi culturali ed ideologici da parte della Cina; militari, con relativa attenzione all’allargamento del mercato delle armi, da parte della Russia, che nel cosiddetto “Continente nero”, si avvale dell’ “Africa Corps”, cioè la versione locale della famigerata Wagner.
Di fatto, Cina e Russia marciano divise per colpire unite, qui come nelle guerre in corso, secondo una strategia diretta a scomporre l’ordine – ammesso che sia tale; in effetti, più presunto che reale – delle relazioni internazionale per cercare di imporne un altro più favorevole alle “autocrazie”. Hanno compreso che, al di là delle innovazioni tecnologiche, degli stessi armamenti e dei commerci, il versante sul
quale per tali regimi è più difficile, financo pericoloso, reggere il confronto con l’Occidente, è rappresentato dagli ordinamenti democratici, che appena fossero assaggiati, diverrebbero contagiosi per mondi che non se li possono permettere.
Occorrerebbe – ed, invece, non ce n’è traccia; a maggior ragione meritorio il campanello d’allarme suonato da Avvenire – una riflessione approfondita su queste prospettive di “chinese life” che il regime di Pechino sta cercando di esportare in un continente che è , con ogni probabilità, la chiave di volta delle future relazioni internazionali.
Se la democrazia non è esportabile, che lo sia, al contrario l’autocrazia, cioè regimi capestro ed illiberali?
Purtroppo, tutto questo avviene intanto che l’Occidente si crogiola nei suoi complessi di colpa, che pure ci sono, e l’Europa – a dispetto delle chiacchiere sul cosiddetto “Piano Mattei” di Giorgia Meloni – oltre che più a destra, si sposta anche più a Nord.
Un’Europa più “baltica” che mediterranea cui nessun “patriota” ha ricordato che, qui nel Mare Nostrum, bagna le sue radici.