Giorgia Meloni si è presa in carico gli amici sovranisti, il premier polacco e quello ungherese – sodale di Salvini – ma la mediazione, in ordine alla redistribuzione dei migranti, non è andata in porto. Come era ovvio, dato che ogni nazional-sovranismo per forze di cose confligge con l’altro. I due hanno, ciò non di meno, ottenuto la comprensione della nostra Presidente del Consiglio, in quanto – così ha affermato la Meloni – hanno difeso i loro “interessi nazionali”. Insomma, lo stesso sentimento con cui lei stessa si è presentata a Bruxelles.
Gli interessi nazionali sono sacrosanti, ma ci si dovrebbe spiegare in che modo, se vengono intesi come obiettivi di parte, si possano conciliare e raccordare con il maggiore tra tutti, cioè con l’ interesse che si cammini, quanto più speditamente, verso un’effettiva “sovranità europea”. Qui sta il punto.
Infatti, se le politiche europee vanno bene finché, rovesciando la frittata, sono funzionali agli interessi nazionali, ma trovano in questi ultimi un’insuperabile pietra d’inciampo, ogni qual volta non sia così, il tanto decantato europeismo cui Giorgia Meloni sarebbe approdata, si rivela un elemento di opportunità contingente e di facciata. Piuttosto che una piena e reale adesione, sostenuta da un forte convincimento politico, all’ideale europeo.
Del resto, le conversioni sono almeno di due tipi. Alcune avvengono sulla via di Damasco, altre sulla via di Palazzo Chigi. L’ europeismo della Meloni è del secondo tipo. A riprova del fatto che in politica le radici contano e mai si possono svellere del tutto dal terreno da cui hanno tratto nutrimento per essere d’incanto ed impunemente trapiantate altrove. Solo sulle vie di Damasco si incontra la “metanoia” ed irrompe la “novità” della vita, reale e non posticcia. Senonché, la politica appartiene a tutt’altro contesto ed è fortunatamente bene che sia così.
Già la confusione è tanta e si accrescerebbe se dovessimo, da rabdomanti, inseguire ed accreditare tutte le evoluzioni e i tornanti, i circoli viziosi, i cambi di rotta o addirittura le inversioni di marcia del pensiero di esponenti, più o meno altolocati, che sono costretti ad inseguire il favore del momento eppure non possono – se pur lo volessero e non è detto che non sia sinceramente così – prescindere dall’ humus che ha permesso ed accompagnato la loro crescita.
La politica esige coerenza e la coerenza di un politico si evince dal suo stesso vissuto, da ciò che un giorno dopo l’altro ne ha accompagnato il pensiero e l’azione. Insomma, da quel profilo esistenziale che fa tutt’uno con la vita, la quale, a sua volta, sempre eccede la razionalità ed il pensiero. Certe virate sono, a maggior ragione sospette, se avvengono da un giorno all’altro ed in vista di un vantaggio o di un importante obiettivo da conseguire nell’ immediato.
Non ha torto chi sostiene che Giorgia Meloni ha esattamente compreso – né poteva essere diversamente – ciò che separa e distingue il ruolo dell’opposizione dal compito di chi deve condurre un grande paese, non potendo, di fatto, prescindere dalla sua storia ed, in primis, dalla sua collocazione internazionale. Eppure basta poco, basta la sbavatura di una dichiarazione perché si riveli un antico sentimento che può essere accantonato, ma non rimosso.