Il recente intervento di Alessandro Diotallevi sulla magistratura ( CLICCA QUI ) è assolutamente pregevole perché aiuta a diradare molto del polverone che da tempo, da troppo tempo, è sollevato attorno alla questione Giustizia nel nostro Paese. Si tratta, infatti, di cominciare ad andare allo sostanza di un tema che, troppo spesso, e per vari motivi, non sempre commendevoli, è affrontato prendendo una parte per il tutto e, così facendo, lo si immiserisce a lotta per bande o a scontro politico.
Cose che ci sono, per carità, ma che non possono assurgere a questione principale e finire per divenire pretesto per il non mettere mano ad una riforma oramai improcrastinabile.
Quando nelle settimane scorse abbiamo sentito alcuni magistrati, che possiamo definire seri, sugli ultimi sviluppi delle vicende innescate dal cosiddetto caso Palamara è stato unanime l’invito alla prudenza. “Si rischia di dire delle grandi stupidaggini”. Questa in estrema sintesi la reazione più diffusa da parte di chi, giustamente, vuole prima veder depositata tutta la polvere sollevata negli ultimi giorni. Una polvere che impedisce di distinguere tra cose vere, messaggi criptati, minacce più o meno velate e tanta altra “roba” che, se fa felici i giornalisti dedicati a queste cose, preoccupa non poco gli addetti ai lavori più qualificati e, soprattutto, noi cittadini.
Il rischio vero, come ci conferma lo scritto di Diotallevi, è che si finisca per correre dietro ciò che non costituisce l’essenza più sostanziale delle questioni davvero in gioco e alle quali si deve, invece, pensare se davvero, come sempre diciamo, vogliamo un’amministrazione della Giustizia degna di questo nome.
Del resto, viene del tutto spontaneo riflettere sul fatto che le vicende delle ultime settimane finiscono per far parlare d’altro. Soprattutto, di questioni di potere. Di sicuro, non di quel potere nobilitato dall’essere espressione di una volontà popolare e di svolgere, dunque, una funzione pubblica rivolta al bene collettivo.
Purtroppo, nelle settimane scorse la memoria è stata più volte sollecitata a tornare sulle tante nubi pulverulenti levatisi in varie occasioni nel corso della storia del nostro gracile paese. Due riferimenti sono i più spontanei ed immediati. Il primo è quello che conduce alla P2. Il secondo va agli anni ’92 -’94, cioè al passaggio dalla Prima alla cosiddetta Seconda Repubblica.
Ancora una volta si parla di una loggia. Questa volta, denominata Ungheria. Nessuno la conosce. Ovvio, altrimenti, non si parlerebbe di una di quelle segrete. Nessuno sa perché si chiami così visto che i legami della Magistratura, o di sue parti, con la terra dei Magiari sembrano del tutto inesistenti. Un romano potrebbe azzardare l’ipotesi che porti quel nome perché potrebbe essere nata da qualche parte nella famosa Piazza Ungheria, o nei suoi pressi. Chiariremo mai questo aneddoto?
C’è da chiedersi se si sia parlato dell’ennesima loggia per attirare un’attenzione morbosa. O perché, davvero, è cosa tutta massonica. Oppure, lo si è fatto solamente per evocare semplicemente l’atmosfera della camarilla, dell’organizzazione più che riservata dedita a pilotare nomine, promozioni e, magari, sentenze in maniera sistematica e strutturata? Se si andrà a fondo della cosa, come fatto dopo l’irruzione nella gelliana Villa Wanda, dove furono trovati gli elenchi della Loggia Massonica Propaganda 2, potremmo avere alcune risposte che oggi scarseggiano perché, in effetti, molto resta senza punti certi. Tipico delle pagine meno nobili della nostra storia.
Il riferimento al ’92 ’94 evoca la possibilità del passaggio verso una diversa fase politica. Sollecitato dal clima complessivo del Paese e da quel che si avverte respirare nei palazzi che contano. Si intuisce che dietro le quinte si svolge qualcosa non ancora pienamente definito e per il quale c’è da attendere l’adeguata maturazione.
Con il prossimo luglio si entra nel semestre bianco. Le camere non potranno essere più sciolte. Si prepara già ora la campagna per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica?
Trent’anni fa, il combinato disposto formato dalla crisi del sistema politico, innescata dalle inchieste giudiziarie, dalla grande comunicazione e dai grandi delitti di quei tempi, sostanzialmente tre: Lima, Falcone e Borsellino, provocò lo sconquasso che tutti ricordiamo. In quel caso la Magistratura, anche se riconosciamo quanto sia improprio usare questo termine perché, in realtà, ci si deve riferire ad una parte di essa, fu sì parte fondamentale di quelle vicende, ma in qualche modo ne era, almeno inizialmente, esterna perché coinvolta di riflesso. Per dare un’idea di quel che si potrebbe intendere dire ci si può riferire all’immagine della levatrice. Concorre al parto, ma non è lei che partorisce.
Oggi, ma la cosa dura da un pezzo, sembra invece che il problema non riguardi il modo in cui si occupa dei problemi del Paese. Sembra diventata essa stessa uno di essi. E questo è preoccupante. Intanto, perché la crisi della Giustizia non è questione da prendere in considerazione solamente sotto il profilo della funzionalità e dei risultati pratici che ci se ne aspetta. Il punto è che la sua qualità, non solo la sua quantità, conferma o smentisce il fatto che si viva in una piena democrazia.
Allora è molto importante scovare le mele marce. Sapere se un magistrato, o più magistrati, tresca o trescano con uno o più politici. Se quello cerca di scavalcare il collega e diventare Procuratore di qua, Presidente di Tribunale di là. C’è chi aggiusta le sentenze, chi prende le mazzette. Chi importuna la collega e chi scrive una sentenza con parecchi anni di ritardo. L’amministrazione della Giustizia, l’immagine della Giustizia, la tranquillità con cui i cittadini, sempre meno, purtroppo, vi si affidano con animo sereno e senza prevenzioni, inevitabilmente si misurano con queste cose. Ma basta affrontare e risolvere solo tutto ciò?
Palamara fa il mozartiano e ci dice che siamo al “Così fan tutte”. Purtroppo non da oggi e non solo da quando è arrivato lui, improvvisamente passato dall’essere il magistrato più potente d’Italia a quello indicato come il responsabile di tutte le cose.
Adesso ci parlano dei magistrati massoni “magiari”. Cose gravissimi ed orripilanti, certamente. Ma quand’è che cominceremo a capire, e soprattutto ad intervenire, sui mali antichi che affliggono la nostra Giustizia a proposito di alcuni dei quali vanno le proposte di Diotallevi?
Forse è davvero una fortuna se oggi a Largo Arenula c’è una Guardasigilli che, forte di una indiscussa competenza e altrettanto non contestata indipendenza, può occuparsi di quello che davvero conta. A partire dalla qualità del personale inquirente, giudicante e di servizio che concorre a formare l’apparato giudiziario.
Così gli stessi magistrati cui ci siamo riferiti agli inizi sottolineano la necessità di partire dalla scelta e dalla formazione dei magistrati. Ai complottisti o a quelli che, al contrario, preferiscono illudersi che “tutto va bene, madama la marchesa”, sembra troppo poco? A noi no, perché da qualche parte bisogna pure cominciare, e subito.
Giancarlo Infante