Come ogni anno si ripete in queste settimane la lunga trafila tra Governo e Parlamento che definisce il quadro finanziario di entrate e uscite pubbliche. Un quadro che riguarda nel loro
insieme le risorse con le quali lo stato entra nella vita di ciascuno di noi e influisce massicciamente (la spesa pubblica è di circa il 51,2 % del Prodotto Interno Lordo italiano) sulla vita economica e sociale del paese.

Per molti versi si tratta di liturgie che si ripetono più o meno invariate qualunque sia il Governo…Si ripetono anche le formule usate dai governanti: la coperta è corta… bisogna raschiare il fondo del barile…, ecc. Ma tutto questo
non può nascondere il fatto che le partite in gioco (sia che si innovi, sia che si mantenga l’esistente) sono di enorme rilevanza per il Paese e per i cittadini.

Ricordiamo poi, per capire bene il gioco, che questo processo si svolge ormai da anni in un contesto di regole europee
piuttosto severe, ma da quest’anno con alcuni importanti cambiamenti. Il bilancio italiano (come quello di tutti i 27 paesi membri, ma in particolar modo quello dei 20 paesi dell’area euro) è anche un affare europeo perché lo stato delle finanze di un paese si ripercuote anche sulla moneta comune.

Le regole europee principali sono il Patto di stabilità e crescita (PSC) nella sua nuova versione introdotta dopo la sospensione del periodo COVID, e il cosiddetto semestre europeo. In estrema sintesi, il semestre europeo, introdotto nel 2010 e con le sue successive
modifiche, stabilisce per coordinare le politiche economiche e finanziarie degli stati membri una serie di passaggi attraverso i quali le procedure di bilancio nazionali sono sottoposte al vaglio delle istituzioni europee per riceverne osservazioni e raccomandazioni fino alle
possibili procedure di infrazione per deficit eccessivo.

Il PSC, adottato nella sua forma originale nel 1997, definisce le ben note e vecchie regole che prevedono che lo stock di debito di uno stato membro non debba eccedere il 60% del PIL e che il deficit annuale (cioè il divario tra entrate e uscite del settore pubblico) non superi il
3% del PIL. La riforma del PSC, che anche il governo italiano ha approvato nel 2024 dopo la sospensione del periodo COVID, pur mantenendo i vecchi target consente agli stati che lo richiedano di ottenere un periodo prolungato di sette anni per adeguarsi a patto però di predisporre, d’intesa con la Commissione Europea, un piano di riforme economiche tali da
garantire il raggiungimento del risultato. A questo fine il governo deve presentare alla Commissione Europea entro il 20 settembre un Piano strutturale di bilancio di medio termine (PSB) che dettagli sia le variabili finanziarie che le riforme da effettuare nei sette anni.

Ecco dunque il quadro rinnovato all’interno del quale deve muoversi da questo anno il governo italiano. Davanti c’è la montagna da scalare del debito (137,3% del PIL nel 2023) e del deficit (7,4% del PIL). Anche se diluita in sette anni, come ha comprensibilmente deciso
di fare il governo italiano, questa scalata è estremamente impegnativa e, di per sé, può comportare un effetto recessivo molto importante su una economia che negli ultimi vent’anni ha presentato tassi di crescita nettamente più bassi della media europea (con tutte le ripercussioni del caso sui livelli salariale, sull’occupazione e sulla spesa sociale).

Il lasso di tempo disponibile consentirebbe però di impostare una politica fiscale ed economica capace di ridurre i rischi recessivi e favorire invece un migliore mix tra riequilibrio delle finanze e incentivi alla crescita economica. In questo orizzonte settennale scelte strategiche di investimenti per lo sviluppo dell’economia e una profonda revisione della spesa pubblica ma anche una più attiva politica delle entrate dovrebbero far premio sulle scelte di breve periodo alle quali siamo abituati (come i tagli al “cuneo fiscale” o altre agevolazioni fiscali validi per un anno e da rinnovare
ad ogni nuova manovra senza certezze per il futuro).

La responsabilità come è ovvio è prima
di tutto del Governo ma, dato che i sette anni eccedono abbondantemente la sua durata, anche l’opposizione, che potrebbe in futuro trovarsi a dover gestire il programma definito
quest’anno, dovrebbe sentirsi fortemente impegnata a contribuire alla sua impostazione.

Le regole europee, per molti aspetti dure per paesi indebitati come l’Italia, contengono però degli stimoli importanti – soprattutto la richiesta di uno sguardo lungo – che se accolti da tutte le principali forze politiche in una prospettiva bipartisan (sarà possibile anche nel nostro rissoso bipolarismo?) potrebbero sensibilmente migliorare la gestione pubblica del Paese. Su questo dovrebbe appuntarsi l’attenzione nelle prossime settimane.

Maurizio Cotta

About Author