C’è una “meglio gioventù” che in Italia si è appena affacciata sulla scena pubblica a reclamare attenzione e rispetto. A rivendicare un ruolo, ad affermare un protagonismo, a pretendere spazio. E forse anche a ricordarci che, quando meno te lo aspetti, la forza di una generazione si manifesta impetuosa e chiede rappresentanza per se stessa. È questo, forse, il lascito più importante delle Olimpiadi di Tokyo che hanno visto rinascere lo sport italiano e lanciato un segnale di conferma dopo lo smagliante Europeo di calcio vinto dagli azzurri guidati da un eterno giovane come Roberto Mancini.

Ma non è di sport che vogliamo parlare, quanto di questa generazione nuova che si è palesata in un frangente così difficile della nostra vita nazionale. Quante volte ci siamo chiesti: come ne usciremo dal Covid? Che ne sarà del nostro Paese malato di vecchiaia in tanti campi, dalla politica alla cultura, passando per l’economia, il sociale e la comunicazione? Ecco che la risposta è arrivata, sorprendente e carica di speranze per il futuro di tutti noi.

Abbiamo scelto il titolo di un fortunato film dell’inizio del nostro secolo, appunto “La meglio gioventù” diretto da Marco Tullio Giordana, perché fotografa mirabilmente la scoperta di una diversità che si è fatta strada fra di noi. Quante volte, infatti, ci siamo chiesti (soprattutto noi adulti orfani del Sessantotto, ma non solo noi) dove fossero i giovani. Cosa pensassero della vita. Come volessero costruire il loro futuro. Come ragionassero e quali valori li animassero. Una risposta l’abbiamo avuta e forse non è di quelle che ci saremmo aspettati. Innanzitutto non ci hanno dato una risposta ideologica e questo misura la distanza con la generazione descritta dal film che ripercorreva la vita di una famiglia italiana dalla fine degli anni Sessanta agli inizi del nuovo Millennio. Una generazione profondamente segnata da un doppio binario ideologico ed estremista (destra-sinistra) mai conciliabile, sino a giungere alla stagione di Mani pulite che di quella storia di conflitti è stata l’ultima propaggine.

Ma non ci ha dato nemmeno una risposta in chiave social o digitale. Infatti non si corre sulla pista e non si lotta su una pedana virtualmente. Certo, ai social e ai media spetta il compito di eternizzare (e forse persino di scarnificare) i momenti straordinari in cui corpi allenati e sorretti da menti altrettanto solide hanno compiuto l’impresa e hanno saputo concorrere a livello mondiale. Piuttosto, ci ha restituito la certezza che ancora una volta l’umanità ha bisogno dei suoi corpi e delle sue menti. E che dalla fusione di queste due dimensioni deriva il successo di un’impresa. E che di un’impresa abbiamo bisogno è sotto gli occhi di tutti. Perché le sfide che abbiamo davanti sono mastodontiche.

Non si tratta solo di rimettere in moto un’economia duramente colpita, ma di cogliere l’occasione per intervenire sulle più gravi minacce che incombono su tutti noi, a cominciare dalla crisi climatica e ambientale che può rivelarsi come il più grande moltiplicatore di ingiustizie sociali e territoriali della nostra storia. Ecco perché è giusto guardare a questa generazione nata a cavallo fra il vecchio e il nuovo secolo con ammirazione e speranza. Pensiamo alla staffetta che ha vinto i cento metri alle Olimpiadi. Quattro ragazzi. Il più giovane, Lorenzo Patta è nato il 23 maggio del 2000, Filippo Tortu di anni ne ha 23, Marcel Jacobs (l’uomo più veloce del mondo) ha 26 anni e Fausto Desalu, il “vecchio del gruppo”, ne ha solo 27. Hanno mostrato coraggio, voglia di arrivare primi, hanno sofferto e saputo gioire, hanno mostrato la loro fragilità piangendo, hanno messo in mostra i loro affetti e hanno parlato il linguaggio della verità anche nei sentimenti.

Ecco, di ragazzi così possiamo fidarci.

Ne vorremmo tanti, donne e uomini coraggiosi, capaci di fare le scelte giuste per tutti noi e anche di chiederci i sacrifici necessari per costruire un mondo più giusto e più sano. Giovani in grado di costruire una politica post ideologica, ma ricca di valori. Personali e comunitari. Soprattutto armati di una dote necessaria per un tempo complesso come il nostro: un sano realismo. Li aspettiamo con ansia. È questo il loro momento. L’Italia tutta ha un gran bisogno della sua “meglio gioventù”.

Domenico Delle Foglie

 

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