“Nulla sarà più come prima”: lo si è ripetuto ad iosa per la pandemia ed ora si fa altrettanto per la guerra in Ucraina.
Detto in altri termini: non abbiamo la più pallida idea di come sia destinata ad evolvere la fase storica in cui siamo immersi. E la politica arranca, assediata da zone d’ombra che limitano la profondità del suo sguardo, cosicché sembra doversi muovere a carponi, saggiando il terreno ad ogni passo.
Senza poter ricorrere a quella visione più penetrante, capace di organizzare mentalmente la traccia di un possibile sviluppo degli eventi che, a sua volta, consenta, se non proprio di imbrigliarli, di concorrere a determinarli, almeno per quel tanto – o poco – che si può. E’ stato detto che, a tale proposito, i regimi autoritari godono di un vantaggio indubbio e strutturale nei confronti delle democrazie, le quali devono mettere in conto i tempi ed i modi necessari a creare, quanto più possibile, quel consenso e quella partecipazione convinta, che rappresentano il combustibile di ogni motore a trazione popolare. E c’è del vero in tale affermazione, così come, sia pure per altro verso, incassano un tale vantaggio anche i portatori, potremmo chiamarli, di interessi “speculativi”.
Cosicché le democrazie sono poste di fronte alla condizione di dover assumere la loro virtù come una necessità storica cui, per forza di cose, corrispondere. Cioè per essere forti, competitive e vincenti hanno bisogno di essere moralmente solide, cioè dotate di costumi e comportamenti a loro volta sorretti da un’etica della responsabilità, fondata su un sistema di valori e principi, senza i quali la pianticella della democrazia verrebbe divelta d’un soffio dal suo terreno.
Principi e valori non affastellati in qualunque modo, men che meno da intendere come la ipostatizzazione di un desiderio, bensì connessi in una sorta di sistema assiomatico che dà conto della dignità della persona e della vita.
E qui torna, conclusivamente, un argomento su cui diversi amici hanno recato, su queste pagine, il loro contributo di riflessione. Si tocca con mano come non vi possa essere dissonanza, men che meno una polarizzazione oppositiva, bensì una fisiologica confluenza, addirittura “necessaria”, cioè “in re ipsa” – nel mondo cattolico ed anche oltre – tra, come sono stati autorevolmente definiti, a suo tempo, dal Cardinal Bassetti, “quelli del sociale” e “quelli dell’ etica”.
Il che – facendo riferimento ad un orizzonte valoriale “metastorico” – per nulla confligge con il pluralismo delle contingenti opzioni politiche oggi presenti nel mondo cattolico, purché passate al vaglio di un rigoroso discernimento che la stessa comunità ecclesiale dovrebbe favorire e sollecitare.
In secondo luogo, se questo argomentare è sensato, ne consegue – com’è, del resto, nell’ intendimento di chi la propone – che la nostra stessa “petizione parlamentare” per la prevenzione dell’aborto (CLICCA QUI)- e lo dovrebbe comprendere soprattutto una certa parte del nostro schieramento politico – non è affatto un “arroccamento” autoreferenziale dei cattolici attorno alle loro ragioni – secondo una postura che taluni volentieri bollerebbero come “oscurantista” – bensì una riaffermazione della dignità intangibile della vita ed in sé – ben più di quanto non si sia disposti ad ammettere – un sostegno ed un servizio alle ragioni della libertà, della giustizia e della democrazia che stanno o dovrebbero stare a cuore, in modo particolare, a quelle parti politiche che si rifanno ad una antica tradizione di popolo. Ad ogni modo, dobbiamo essere consapevoli di vivere un tempo straordinario, in cui, sia pure ancora confusamente, sentiamo il fragore di un’onda che cresce alle nostre spalle e ci solleva su, fino alla sua cresta spumeggiante, da dove finirà per poi rovesciarci sul bagnasciuga di una nuova terra, senza che noi si possa dirigere verso quale approdo orientarci.
Una terra per intero da esplorare e non solo guardandoci attorno, ma ascoltando noi stessi. Si potrebbe dire “auscultando” il respiro dell’ anima, come se potessimo pure ad essa applicare un “fonendo”.
Domenico Galbiati