Città Nuova ha pubblicato il seguente articolo sul fine vita a firma di Silvio Minnetti e Daniela Notarfonso
Con l’approvazione delle «Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita», il 10 marzo scorso, si è arrivati al sì della Camera dei Deputati alla possibilità per una «persona affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta (…) di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita» (art. 1).
Nel 2019, con la sentenza “Cappato”, la Corte costituzionale ha chiesto al Parlamento di regolamentare il “suicidio assistito” e il 16 febbraio scorso ha bocciato la richiesta del referendum sull’eutanasia, sottoscritto da un milione e 200 mila firme, in quanto, «non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita
umana (…) con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».
La proposta di legge discussa ha ricevuto 253 voti favorevoli e 117 contrari. I primi sono stati espressi da Pd, Mov. 5 Stelle, Leu e +Europa, i contrari da Lega, FI, FdI, Coraggio Italia e Noi con l’Italia. Italia Viva ha lasciato la libertà di coscienza dei suoi deputati. Un tentativo di introdurre l’eutanasia è stato bocciato con 389 no e 52 sì. Molti gli assenti, in particolare nel centrodestra. Dal punto di vista politico sembra tenere il campo Pd-5Stelle sul tema dei diritti civili. Quello di centrodestra tiene, ma non in modo granitico.
L’approvazione a grande maggioranza avvenuta alla Camera dei Deputati è solo il primo passo, dato che al Senato i favorevoli hanno numeri risicati e i contrari cercheranno di giungere a delle modifiche soprattutto in merito alle cure palliative e ai luoghi in cui questa pratica dovrebbe realizzarsi. Le prime, infatti, rappresentano la presa in carico globale dei bisogni di un paziente, pur se nella fase terminale della sua malattia, accompagnandolo fino alla morte,
controllando il dolore e i sintomi più penosi. Dopo 12 anni dall’approvazione della legge che le promuoveva, non sono ancora accessibili uniformemente su tutto il territorio nazionale, consentendo situazioni di vero e proprio abbandono terapeutico. Allo stesso modo ci sono grandi perplessità sull’opportunità che gli ospedali diventino i luoghi in cui porre fine alla propria vita, come ha affermato all’agenzia di stampa Sir Alberto Gambino, Presidente
di Scienza e vita: «Mai ci saremmo aspettati (…) che proprio gli ospedali fossero “eletti” a strutture dove si attueranno protocolli di assistenza per iniettarsi farmaci letali». Si attuerebbe uno stravolgimento drammatico della finalità per la quale questi luoghi di cura e di accompagnamento sono nati più di 400 anni fa.
Nello specifico, l’art. 2 definisce il suicidio assistito come «il decesso cagionato da un atto autonomo con il quale (…) si pone fine alla propria vita in modo volontario, dignitoso e consapevole, con il supporto e sotto il controllo del Servizio sanitario nazionale». Ciò prevede la necessità che la richiesta sia fatta per «una volontà attuale, libera e consapevole di un soggetto pienamente capace di intendere e di volere» e stabilisce che «le strutture del Servizio sanitario nazionale operano nel rispetto dei seguenti princìpi fondamentali: tutela della dignità e dell’autonomia
del malato; tutela della qualità della vita fino al suo termine; adeguato sostegno sanitario, psicologico e socio-assistenziale alla persona malata e alla famiglia».
L’articolo 3 definisce chi può richiedere di “porre fine alla propria vita”: «La persona che (…) abbia raggiunto la maggiore età, sia capace di intendere e di volere e di prendere decisioni libere, attuali e consapevoli, adeguatamente informata, e che sia stata previamente coinvolta in un percorso di cure palliative al fine di alleviare il suo stato di sofferenza e le abbia esplicitamente rifiutate o le abbia volontariamente interrotte».
Gli artt. 4 e 5 definiscono le modalità per presentare la domanda e il Comitato che prenderà in carico la richiesta. Molto importante l’art. 6 che sancisce la possibilità di obiezione di coscienza per i sanitari.
Lo scontro politico è destinato a continuare, le posizioni sono infatti difficili da conciliare: il centrodestra considera questa legge come una “eutanasia mascherata”; i radicali la ritengono troppo “restrittiva” pur affermando che si tratta di un “passaggio positivo”. Sarà interessante vedere se al Senato si riuscirà a dialogare per trovare un consenso, rimane infatti la possibilità che, se dovesse perdurare il muro contro muro, si possa ripetere l’esperienza
della bocciatura incorsa al ddl Zan per l’incapacità di giungere a una mediazione.
Il criterio da rispettare è che ogni vita ha un valore e va custodita, curata e accompagnata fino alla fine. Occorre
resistere alle tentazioni eutanasiche che attraverso l’autodeterminazione del paziente mascherano spesso la volontà di far quadrare i bilanci di una sanità miope, incapace di lavorare sulla prevenzione e sull’attenzione ai pazienti molto anziani e con gravi disabilità. Le famiglie non possono essere lasciate sole nel loro delicato e insostituibile impegno di cura.
Silvio Minnetti e Daniela Notarfonso