La responsabilità di non avvitare l’Italia nella spirale di una cieca contrapposizione pregiudiziale, di cui forse si avvertono fin d’ora i primi segni, compete a tutti, ai vincitori ed agli sconfitti, alla maggioranza ed all’opposizione.

Alla maggioranza, anzitutto. La quale pare stia mostrando di non avere spalle sufficientemente robuste, adatte a reggere il peso di una svolta che pure c’è in tutta evidenza e di cui rappresenta il principale attore. Non a caso dalle dichiarazioni della Meloni traspare un eccesso di nervosismo che non depone a suo favore in vista della responsabilità che si appresta ad assumere.

Gli italiani che non hanno votato per Fratelli d’Italia, con ogni probabilità, non hanno nessuna intenzione di mettersi l’anima in pace – qualunque cosa questo significhi – secondo il ruvido invito della Meloni. Se poi alle parole, sia pure roventi, dell’opposizione viene imputata la responsabilità di nuocere al Paese, decisamente cominciamo male. Rischiando, tra l’altro, di confermare, a ritroso, quella stessa preoccupazione dell’opposizione che si vorrebbe rintuzzare. Ma anche l’ opposizione è tenuta a non infilarsi in un vicolo buio. E non può illudersi di assolvere il suo compito rifugiandosi nell’invettiva e tantomeno in un’astiosa recriminazione dei propri errori.

Il successo della destra non è imputabile al saragattiano “destino cinico e baro”, ma piuttosto l’approdo – inevitabile ? – di un percorso pluridecennale che trova il suo incipit nella mancata elaborazione di cosa abbia significato davvero il passaggio traumatico dalla Prima alla cosiddetta Seconda repubblica.

Siamo, ad ogni modo, in un contesto politico tale per cui l’opposizione – o meglio le opposizioni – devono studiare a fondo la modalità secondo cui esercitare il loro ruolo, che non può consistere semplicisticamente in un controcanto alle azioni messe in campo dal governo, facendosi, in tal modo, dettare l’agenda degli argomenti dalla maggioranza. Il momento istituzionale dell’opposizione sviluppata nelle aule parlamentari si esaurirebbe in una serie di prese di posizione più o meno ispirate al breve momento e funzionali solo alla comunicazione, in carenza di una progettualità alternativa che offra al Paese una prospettiva differente. Insomma, ci vuole una strategia e questa passa necessariamente dal radicamento sociale che l’opposizione è, più o meno, in grado di creare. E questo è un punto decisivo.

Peraltro, le opposizioni sono tre. Eppure, non è detto che esauriscano le ragioni di chi non condivide l’indirizzo politico che l’Italia ha assunto lo scorso 25 settembre. Non serve che si coordinino, ammesso che siano in grado di farlo. Vi sono, piuttosto, almeno tre versanti – difesa intransigente della Costituzione; piena valorizzazione del Parlamento; rigorosa politica europeista – che le opposizioni farebbero bene a presidiare e promuovere come “fondamentali” da garantire al Paese intero, prima che a sé stessi ed ai rispettivi elettorati.

Domenico Galbiati

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