Dopo tante “convention”, Forza Italia, a trent’anni dalla nascita, celebra il suo primo congresso. Si “normalizza”, si potrebbe dire, ed è una buona notizia che una forza politica che, come la gran parte delle altre e più delle altre, è fin qui vissuta nel culto del fondatore, cambi passo e, in controtendenza rispetto ai più, entri nel campo dei partiti – ormai davvero pochi – che assumono la dialettica interna come presupposto e necessaria garanzia del ruolo democratico che intendono sviluppare nel complessivo discorso pubblico che attraversa il Paese.
Si tratta di capire se questo avviene per forza di cose, cioè per ovviare alla comprensibile carenza di una leadership assertiva come fu quella di Berlusconi, per riassorbire la difficoltà del momento, oppure per una ragione di fondo, per un mutamento strutturale della fisionomia del partito, della qual cosa sarebbe giusto, a quel punto, riconoscere il carattere “politico”, non meramente occasionale e tattico.
Non è sorprendente che molti, scomparso Silvio Berlusconi, si attendessero una sostanziale liquefazione di Forza Italia. In effetti, riesce difficile pensare che un partito che non ha mai visto spuntare eredi quando il leader era in vita, possa vantarne epigoni ora che, del suo unico ed incontrastato sovrano, è orfano. Ma forse le cose andranno diversamente e, in definitiva, se lo devono augurare anche coloro che pur nulla condividono del governo in carica, di cui, almeno a sentire Tajani, Forza Italia fa parte orgogliosamente. Anzi, forse soprattutto costoro dovrebbero prestare attenzione, ad esempio, a quanto prospetta il governatore della Calabria, Occhiuto, laddove afferma che Forza Italia dovrebbe preoccuparsi di presidiare ed occupare politicamente lo spazio che si apre tra Giorgia Meloni ed Eddy Schlein.
Territorio oggi destrutturato ed informe, difficile da comporre – sia pure in forma di coalizione tra diversi che restino tali, eppure esprimano un’intenzione comune – anche perché percorso da corsari che confondono la politica con la loro autobiografia. Ad ogni modo, con il tempo maturano anche le nespole e, dunque, chi vivrà, vedrà. Viene, altresì, confermata, dal congresso, la vocazione europea ed atlantica di Forza Italia – che vanta di rappresentare l’ ala italiana del PPE – con una convinzione ed una costanza, che non conoscono né l’ europeismo posticcio della Meloni, tanto meno, addirittura, il “filo-putinismo” di Salvini.
Va onestamente riconosciuto che, se così non fosse, la maggior forza europea di carattere democratico e popolare, non sarebbe accessibile da parte dell’elettorato italiano, se non attraverso velleitarie ed improbabili formazioni minori di scarsa affidabilità. Eppure, Forza Italia sconta una vistosa contraddizione quando Tajani afferma di sostenere convintamente la riforma costituzionale incardinata sul “premierato”. Senonché la vocazione liberal-democratica e popolare di una forza politica stride con una concezione centralizzata e fortemente personalizzata del potere, che, per sua natura, assume necessariamente una connotazione autoritaria, se pur non fosse nelle sue originarie intenzioni.
Eppure le eventuali riforme della Costituzione sono provvedimenti, in ogni caso, di tale rango da non poter essere sequestrate dentro il perimetro di una coalizione. Infatti, mentre quest’ ultima è, ad ogni modo, transeunte, se pur durasse l’ intero quinquennio di una legislatura, la valenza temporale di una qualunque norma costituzionale investe non solo tempi imponderabilmente lunghi, ma soprattutto lascia un segno pressoché indelebile sulla forma, sulla natura, sul sentimento civile e morale che accompagna un ordinamento istituzionale. Ad ogni modo, se questa lettura della possibile evoluzione di Forza Italia che sembra di poter cogliere tra le righe del congresso, sia corretta o meno, lo si potrà giudicare nel volgere dei prossimi anni, quando si tratterà di costruire quell’ alternativa al governo della “destra più destra” interpretata da Giorgia Meloni e, ove sopravvivesse a dispetto di sé, da Matteo Salvini.
Impresa, con ogni probabilità, interdetta, nella sua attuale configurazione, all’ altro polo dello schieramento politico bipolare e maggioritario, anche se questa sera – come ci auguriamo – dovesse salutare la vittoria di Alessandra Todde in Sardegna.
Domenico Galbiati