La ricetta sicura per garantirci almeno vent’anni di “melonismo”, ce l’ hanno spiegata, nei giorni scorsi, i “popolari” confluiti nel PD: ricreare l’ Ulivo, costruire un fronte compatto (?) delle opposizioni (?), cioè investire, ancora una volta e cocciutamente, sulla “polarizzazione” del sistema politico-istituzionale. Insomma, alzare la palla alla destra ed offrirle l’opportunità di schiacciarla a terra, quasi senza colpo ferire. Al contrario, anziché cercare il muro contro muro – “o la va o la spacca” – per creare una possibile alternativa all’attuale governo, è necessario, anzitutto, aprire porte e finestre di un ambiente chiuso, asfittico ed ammuffito, consentire che circoli aria fresca, permettere alle culture politiche plurali di cui fortunatamente è ancora ricca l’ Italia di misurarsi, ciascuna vantando una propria originale visione, con il popolo italiano.
Anziché ingrottarsi nell’ uno o nell’ altro dei due schieramenti, in ambedue cercando ciascuna di lucrare sull’ altra, cioè concependo, sull’ uno e sull’ altro fronte, alleanze che stanno in piedi sul presupposto dell’ ambiguità e della rivalità interna che originariamente contemplano.
Intanto gli elettori disertano le urne perché sono stanchi di una partita preordinata a tavolino, che destra e sinistra conducono – al di là dell’ intonazione feroce del confronto – di fatto concordemente e perennemente a somma zero.
Una partita da cui gli italiani si sentono esclusi e, dunque, si ritraggono perché sanno che l’esito è, nella sostanza delle cose, scontato.
Comunque vada, ambedue gli attori in campo vincono – chi la palma del governo, chi dell’ opposizione, in attesa di scambiarsi amorevolmente i ruoli, ma intanto garantendosi reciprocamente – ed a perdere è la partecipazione democratica, la passione civile sempre più ridotta ad un lucignolo fumigante. Il sistema è talmente ripiegato su sé stesso che se non fosse per l’ inappuntabile ruolo del Quirinale, la stessa disastrosa proposta del “premierato” da molti potrebbe essere ritenuta niente più che la pura e semplice presa d’ atto di un “de profundis” già ampiamente recitato sulle spoglie del nostro ordinamento costituzionale e democratico.
E’ tempo di restituire l’ Italia agli italiani attraverso un passaggio elettorale proporzionale che permetta di riportare l’ espressione del consenso ad una consapevole e motivata adesione all’ ispirazione culturale originaria – per chi ce l’ ha – di ciascuna forza in campo. Del resto, quando si pensa di compattarle le opposizioni in un fronte coeso di che cosa esattamente si parla ? Pare che il pezzo forte, il punto di aggregazione più fortemente attrattivo di altre componenti dovrebbe essere rappresentano da una chiara ed esplicita convergenza strategica e programmatica tra PD e Movimento 5 Stelle.
Resta da spiegare come si possa costruire la sinistra arruolandovi un partito di destra. Perché tale è – lo sappia o meno; lo si sappia o meno – il Movimento 5 Stelle. Così è nato, così è cresciuto e tale resta tuttora, in ossequio all’ impronta originaria di cui e’, quasi sempre, pressoché impossibile disfarsi. Non è la sua “agenda sociale” a definite se una certa forza sia ascrivibile alla destra piuttosto che alla sinistra, ma piuttosto il suo impianto concettuale, insomma la cultura civile, politica ed istituzionale di cui è espressione.
Anche la destra più becera può assumere una fisionomia “sociale”, ma questo non ne cambia la natura.
Ed il moto ondivago, opportunistico, ambiguo ed ambivalente, tipico dei “5 Stelle” altro non e’ se non l’ espressione attuale, cioè la persistenza, di quella quintessenza della demagogia e del populismo straccione e sgangherato da cui il Movimento è nato. Bisogna che il PD se ne faccia una ragione.
L’ opposizione non consiste nel “controcanto” alla proposta del governo, bensì nella costruzione organica di una cultura politica e di una visione chiaramente percepibile come alternativa. Ed è qui che è atteso il concorso anche del PD ad una sforzo comune di salvaguardia e rigenerazione della democrazia nel nostro Paese.
Domenico Galbiati