L’Italia, come per molti aspetti l’intero mondo, è posta dal Covid19 in una situazione di ripensamento del proprio stile di vita, sino a ieri fondamentalmente consumistico permissivo, che è, indubbiamente, concausa non solo dell’emergenza sanitaria in atto ma anche di quella ambientale e climatica.
Ci siamo immersi in una situazione di facile benessere – non per tutti e con debiti individuali e degli Stati – ove tutto sembrava ottenibile senza sforzo e ove il divertimento, la vacanza, l’aperitivo…diventavano valori, nel mentre austerità, sacrificio, impegno, studio, competenza, doveri … diventavano vecchiume da porre in soffitta (facendo così contento Carlo Marx, che li considerava valori borghesi da distruggere).
In questo contesto, fra i molti danni, abbiamo anche quello di aver trascurato il corretto rapporto con l’ambiente, salvo accorgerci, quasi d’improvviso, dei guasti al territorio, della messa in crisi della biodiversità, dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici –non dipendono in toto dall’uomo, noi ne siano una variabile controllabile-.
Senza cadere nel catastrofismo e nell’ambientalismo ideologico emotivo, che a poco servono, dobbiamo prendere atto che la situazione è seria, sotto il profilo ambientale ed anche sotto quello sociale ed economico, poiché questi sono intrinsecamente connessi.
All’ordine del giorno delle riflessioni e degli impegni politico istituzionali, ma non solo, la necessità di una transizione culturale ed ecologica che ci faccia progredire verso un Umanesimo di rispetto della Persona e del Creato, in una prospettiva quindi di ecologia integrale, che coniughi, sulla base di etica, scienza e tecnologia, economia solidale (uso da decenni questo termine che mi pare molto più denso, di senso e significato, che non quello corrente di economia circolare; mi riprometto di approfondire in altra occasione) e sviluppo sostenibile.
Certamente urgono interventi per realizzare a 360° la prospettiva indicata.
In questo contesto globale, credo assuma un ruolo strutturale e sistemico l’azione educativa, sia nella prospettiva dell’educazione permanente che in quella dei giovani, veicolata dalla famiglia e dalla Scuola, che richiede tempi lunghi e della quale va individuato il principio motivazionale.
Ritengo che questo possa esser visto nell’educazione ambientale, che è fattore primario di educazione alla legalità ed alla cittadinanza.
L’educazione ambientale non deve esser pensata come una “materia” da aggiungere alle tante “educazioni”, di cui, di volta in volta, si vuol far carico alla Scuola, quasi questa fosse l’asino di Bastianazzo, che poteva vedersi aggiungere carichi su carichi senza mangiare …
L’educazione ambientale deve avere, provenienti dalla varie discipline, un sostrato di corrette cognizioni, adeguate all’età degli scolari, che provenienti dalle varie aree disciplinari compongano una visione interdisciplinare dei vari argomenti.
Acquisite le competenze queste devono esser poste in atto laboratorialmente, sul campo, tramite comportamenti di “lavoro”: questo impone rispetto di regole – educazione dalla legalità – e positiva socializzazione collaborante – educazione alla cittadinanza .
Faccio un esempio, ipotizzo qui una terza media (cambiate le cose da cambiare potrei ipotizzare una Scuola Materna o una V Liceo) ove, una volta apprese le cognizioni relative alla fotosintesi clorofiliana, i giovani debbono poter effettuare attività di laboratorio che evidenzino sperimentalmente (facili esperimenti di germinazione e crescita idroponica ad esempio) quanto appreso e, poi, trasferirsi nell’orto scolastico – ogni scuola, dalla materna alle superiori, dovrebbe averne uno, magari riducendo gli spazi dei cortili incatramati o invasi da erbe – con zappa e rastrello a produrre frutta e verdura da consumare nella mensa scolastica.
Questo esempio non è un volo pindarico, richiede una transizione culturale nel pensare la Scuola e l’insegnamento, transizione che trova fondamento nella grande pedagogia del lavoro, che va dai classici a Comenio, a Pestalozzi, a Montessori, a Dewey, a Makarenko….
Non dimentichiamo che, come insegnano tutti questi grandi del pensiero pedagogico, l’homo sapiens è prima homo faber.
Pedagogia del lavoro che si sposa intrinsecamente con l’attività di concreta educazione ambientale, quella del fare oltre che del dire, della quale ogni scolaro, alunno, studente, deve avere costante ed effettiva esperienza, per divenire un cittadino capace di Custodire il Creato.
Roberto Leoni