Con il suo film post-apocalittico degli anni della Guerra Fredda L’ultima spiaggia, il grande regista Stanley Kramer, ci ha dato un capolavoro che torna di grandissima e tragica attualità in questi tempi di guerra russo-americana fino all’ultimo ucraino. Era il 1957, e la sua trama è incentrata sui contraddittori sentimenti, sulle vane illusioni e sulla malcelata disperazione dei pochi sopravvissuti negli ultimi mesi dell’esistenza della vita sulla Terra, poco prima della ormai inevitabile estinzione del genere umano.
La vicenda si colloca, infatti, un anno dopo la Terza Guerra Mondiale, combattuta a colpi di bombe nucleari, e risoltasi con la distruzione reciproca delle potenze dell’emisfero settentrionale del pianeta. A seguito di ciò, più di metà della Terra è già completamente radioattiva, mentre appare ormai inevitabile che la contaminazione si propaghi anche alle zone più meridionali del mondo.
Ed è qui, sulle coste dell’Australia, che si trova l’ultima spiaggia i cui abitanti, cercando di mascherarlo in un modo o nell’altro, contano i giorni rimanenti, e si preparano alla fine. Tra questi spiccano due gentiluomini amanti del buon whisky che, avendo capito come, dopo la fine di tutto, rimarrà ancora qualcosa nella cantina del loro club, accusano la direzione di “bad planning”, di cattiva programmazione del consumo delle risorse alcoliche, e ne chiedono la distribuzione in dosi che evitino tale inaccettabile spreco
È stato difficile, in questi ultimi mesi, che quello straordinario film non tornasse a memoria di chi lo ha visto, e che questi non fossero tentati di replicare la protesta di quei gentiluomini, di fronte allo spettacolo offerto dal partito per cui essi avevano forse anche votato, il PD, e il “bad planning”, la pessima gestione fatta dalla segreteria Letta delle residue risorse di cui questo disponeva.
Chiuso a riccio sulla protezione delle sue via via decrescenti posizioni e rendite di potere, il partito nato dalla convergenza degli ex-PCI , sopravvissuti al crollo dell’Unione Sovietica, e dei membri del principale partito anticomunista, la DC dell’Italia della Guerra fredda, ha in questi anni tentato di garantire la più feroce conservazione dello statu quo. E ha così determinato la totale irrilevanza della sinistra, e l’ascesa al potere dell’estrema destra.
Almeno fino al momento in cui, domenica scorsa, avendo incautamente esposto il proprio fianco all’ombra dei gazebo, ha consentito a che il suo nuovo Segretario fosse scelto da quella parte della sinistra che finora non aveva trovato occasione di esprimersi. E che alle cariatidi dell’immobilismo ha preferito, andando forse all’estremo opposto, una candidata alla Segreteria del partito che in passato – ancora breve, data la sua giovine età – aveva saltellato in tempi estremamente ravvicinati tra l’Italia, la Svizzera e gli Stati Uniti, tra il Parlamento Europeo e la Regione Emilia-Romagna, tra la campagna elettorale di Barak Obama ed il “wokismo” lesbo-femminista.
Una scelta però, quella effettua domenica 26 Febbraio, da parte di una sinistra che finora non aveva trovato modo di esprimersi e che potrebbe, forse, offrire oggi al Movimento Cinque Stelle un varco per quella che è stata definita l’O.P.A. – l’offerta pubblica d’acquisto – sull’intero spazio progressista della società italiana. E quindi di mettere pienamente in valore il tesoretto politico accumulato da quando Giuseppe Conte ne ha preso la guida, e si è quasi del tutto sbarazzato degli elementi che lo rendevano invotabile. Che potevano, anzi, a volte, spingere un osservatore normalmente ragionevole a chiedere lo “sterminio” politico di chiunque a tali elementi si associasse.
Il tesoretto di consensi accumulato dal M5S non è trascurabile né sul piano quantitativo né – le suddette eccezioni a parte – su quello qualitativo. Soprattutto nel quadro della situazione internazionale di oggi. In primo luogo, esso raccoglie infatti una ingente parte del consenso di coloro che avvertono la crescente presenza della povertà nella società italiana e pensano che – quali che fossero i suoi difetti, e quanto grande che fosse la stupidità di coloro che dichiararono di aver “abolito la miseria” – il Reddito di cittadinanza fosse comunque un tentativo che non meritava la rapida cancellazione cui lo ha condannato il governo delle destre.
A ciò si unisce, nello spazio che i 5 Stelle tendono a rappresentare politicamente, l’opinione di coloro che, come la maggioranza degli Italiani (e, sia detto per debito di verità, anche della maggioranza dei Tedeschi di oggi), hanno orrore della retorica militaresca ed ultranazionalista, purtroppo così viva in Europa orientale e (sia detto con vivo dispiacere) nello smarrito Regno Unito post-imperiale e post-europeo. E a ciò si aggiunge una simpatia per il popolo russo che sarebbe sbagliato attribuire soltanto alla grande stagione di consenso e di speranza di cui la grande idea del socialismo realizzato ha goduto presso gli Italiani in gran parte dello scorso secolo.
E’ un fatto difficilmente discutibile che il nostro Paese sia il solo in cui la continua richiesta di armi sempre più potenti, cioè di una sempre più pericolosa escalation, e la retorica ultra-bellicista di Zelensky, che pure parla a nome di un paese militarmente aggredito, hanno sollevato una reazione negativa che, alla fine, lo ha costretto a fare macchina indietro. E che la sua rinuncia a una presenza, che la nostra opinione pubblica ha considerato fuori luogo, sia stata resa ancora più visibile dal contrasto con il generale appiattimento dei media. Così come è indiscutibile il fatto che, quale che sia il giudizio – positivo o negativo –da dare sul modo in cui il nostro Paese si pone di fronte alla guerra che sta devastando il Vecchio Continente, il M5S di Giuseppe Conte sia riuscito a farsene interprete.
La variegata convergenza di consensi, anche se in parte ancora da ripulire, di cui Giuseppe Conte è riuscito a dotare il “suo” M5S costituisce oggi una sorta di tesoretto in attesa di essere investito a vantaggio, in primo luogo del Paese, con la creazione di una sinistra democratica oggi scandalosamente inesistente e, nello stesso interesse della destra oggi al potere, per un corretto funzionamento del meccanismo democratico.
Ed una rara, forse unica, occasione per tale investimento – che non andrebbe sprecata – viene ad esso offerta dalla novità rappresentata dal risultato del voto di domenica scorsa. Dal sopravvento, sul “nucleo duro” degli iscritti da parte di coloro che – più o meno spontaneamente – hanno deciso di inserirsi per aprire una breccia – si spera – nel tragico conservatorismo delle piccole, e non tanto piccole, posizioni di potere e di rendita che si sono annidate, nell’interminabile procrastinazione del Congresso, dietro la figura di Enrico Letta. Una figura simile – ma in versione infinitamente più triste – a quella dei due gentiluomini della Ultima Spiaggia, amanti del whisky e decisi, prima della fine del mondo, a svuotare in allegrezza tutto quel che si poteva trovare in cantina.
Giuseppe Sacco