In due precedenti interventi abbiamo invitato ad una evoluzione della nostra società in senso monoculturale e multietnico (CLICCA QUI e QUI).
Abbiamo poi sottolineato la necessità di agire sui meccanismi economici che ruotano intorno allo sfruttamento dei processi di immigrazione proponendo la confisca dei beni dei moderni schiavisti. Ci sembra ora opportuno avanzare una riflessione sulle responsabilità degli immigrati coniugando il loro impegno agli interessi concreti dell’Italia.
Dalla gestione dell’immigrazione passa buona parte della nostra politica estera. Politica di cui abbiamo bisogno per la nostra sicurezza soprattutto in campo energetico. La politica estera si fa soprattutto con i soldi e la presenza militare, in particolare noi siamo specializzati in interventi di “peace keeping”.
Eppure, noi siamo tra i pochissimi stati, di quelli grandi, che non ha nel proprio esercito una Legione straniera. Aprire agli immigrati l’opportunità di servire il nostro paese nelle sue forze armate da una parte li responsabilizzerebbe, dall’altra contribuirebbe ad ampliare il raggio di azione delle nostre forze di sicurezza ed il dialogo con paesi vicini e lontani.
Lontani da ogni intento coloniale, l’inquadramento militare si rivelerebbe utile sia nel contrasto con la criminalità internazionale che opera sul nostro territorio, sia nel sostenere le esigenza di difesa dei nostri interessi nel mondo.
Il tema in Italia è ed è stato affrontato impegnando le nostre istituzioni a formare i quadri militari dei vari paesi con i quali abbiamo intrattenuto o intratteniamo rapporti. Qui si tratta, invece, di usare l’esperienza militare come forma di integrazione nella nostra società. È un modello efficace già sperimentato in altri paesi con risultati positivi.
Al netto della retorica elettorale dei difensori dei confini contro i morti di fame e le donne gravide (non contro i carri armati), “servire e difendere la patria” rimane un elemento eccezionale di coesione e partecipazione specialmente per chi si vuole inserire in un nuovo ambiente.
La crescita di un ceto sociale fedele ed al servizio attivo della Repubblica non può che generare un circolo virtuoso al quale dobbiamo legare, ovviamente, il tema della cittadinanza da acquisire in cambio dell’impegno.
Luigi Milanesi