La vicenda russa degli ultimi anni, e con un crescendo nei mesi della guerra di aggressione in Ucraina, ci fornisce molti buoni esempi, qualora ci fossimo dimenticati del passato, di come i regimi autoritari possano snaturare gli strumenti inventati dalla democrazia liberale e il diritto stesso per conseguire i propri fini di sopraffazione nascondendoli sotto una patina di legittimità.
La Russia di Putin aveva mostrato agli osservatori non troppo disattenti come le elezioni (ai più vari livelli) possano essere in questo modo ricondotte al risultato voluto da chi detiene il potere e non intende lasciarlo. Il bavaglio sistematico messo alla stampa utilizzando anche lo stigma di “agente straniero” applicato a chi non si conforma, l’esclusione dei candidati di opposizione ricorrendo a meccanismi amministrativi fraudolenti per invalidarne le raccolte di firme, l’ampia manipolazione dei risultati del voto sfruttando soprattutto il voto elettronico hanno permesso al partito del potere, Russia Unita (chiamato anche familiarmente dai cittadini russi “il partito dei ladri”, ma a quanto pare ritenuto da un partito nostrano degno di un accordo di reciproco aiuto), di vincere tutte le recenti elezioni anche quando persino i sondaggi ufficiali lo davano in netta minoranza.
Ecco che ora, in difficoltà per gli insuccessi nella guerra di Ucraina, il potere russo si prepara a lanciare dei referendum nei territori militarmente occupati (non solo nelle due province del Donbass – Donetsk e Luhansk – ma anche in quelle di Kherson e Zaporizhia), affinché le popolazioni decidano “democraticamente” la loro adesione alla Federazione Russa. La perversione dello strumento democratico raggiunge qui un picco mai prima toccato. Si indice il giorno 20 settembre un referendum per i giorni 23-27 settembre (!), lo si fa in territori dove sono in corso una occupazione militare e scontri bellici, dove una parte molto significativa della popolazione è fuggita altrove, dove la libertà di stampa è tale che semplicemente chiamando guerra la cosiddetta “operazione speciale” o segnalando le sconfitte dell’esercito russo si rischiano anni di prigione. Il modello sperimentato nel 2014 con il referendum per l’annessione della Crimea è stato ulteriormente perfezionato!
Ma perché tanta fretta nell’indire in condizioni simili dei referendum? Qui entra in gioco se non bastasse quanto già segnalato la perversione del diritto. Finché non si tengono questi referendum questi territori appartengono legittimamente per il diritto internazionale (e anche per il diritto russo) all’Ucraina. Quindi a tutti gli effetti l’esercito russo e le amministrazioni che al suo seguito sono state insediate sono un esercito e delle amministrazioni di occupazione. Ma nel momento in cui i referendum le annettessero alla Federazione Russa alla luce delle dottrine legali e militari di questa ogni azione militare ucraina contro o in quei territori sarebbe un’azione contro la patria russa e dunque tale da giustificare le azioni militari russe (persino le più estreme come l’uso di armi nucleari tattiche) come azioni di difesa del suolo patrio.
Servirebbe forse anche per giustificare una mobilitazione generale in Russia finalizzata a rafforzare con nuovi coscritti un esercito ormai ampiamente depauperato di uomini. In questo modo Putin verrebbe incontro ai desiderata dei settori più nazionalisti del paese. Una mossa che però sembra destinata a ridurre significativamente il sostegno finora ampio della popolazione per una guerra che per ora non viene combattuta dalla classe media russa, ma dagli strati più poveri e dalle minoranze etniche del paese.
Queste mosse sembrano indicare il tentativo disperato di invertire quello che si sta rivelando un colossale fallimento dell’ultima fase del potere putiniano. La fermezza dei paesi alleati nel sostegno all’Ucraina e l’indicazione di piani di pace saggi come quello recentemente proposto da Stefano Zamagni (CLICCA QUI) forse non convinceranno un Putin ormai rinchiuso nel bunker ma potrebbero segnalare a una parte dell’elite russa che è tempo e vale la pena cercare una via di uscita diversa dal baratro.
Maurizio Cotta