Ursula von del Leyen ha partecipato ad un confronto con altri candidati alla Presidenza della Commissione europea in vista del prossimo appuntamento elettorale di giugno. All’incontro non hanno partecipato né i rappresentanti dei Conservatori e riformisti di Giorgia Meloni né quelli di Identità e Democrazia (ID) di cui fanno parte Matteo Salvini e Le Pen. Un chiaro segnale dell’orientamento preminente di chiusura alla destra estrema da parte di quelli che raccoglieranno il consenso più ampio, in continuità con l’assetto europeo degli ultimi cinque anni.
Il tema dei rapporti con la destra ha occupato una parte dei quesiti rivolti alla Presidente della Commissione europea, visto che non sono sfuggiti i rapporti intercorsi negli ultimi mesi con Giorgia Meloni. Cosa che ha fatto intravedere la possibilità di un’apertura di credito verso la nostra Presidente del consiglio italiano che, però, vedi il recente intervento all’incontro organizzato da Vox, ma siamo in piena campagna elettorale, è rinculata sulle sue tradizionali posizioni che lasciano poco spazio ad ipotesi di collaborazione al di fuori di un eventuale equilibrio basato sul predominio del centrodestra destra (CLICCA QUI). Siamo probabilmente dinanzi ad un gioco delle parti favorito dall’incertezza dell’esito elettorale.
Ebbene, alcuni commentatori hanno rimproverato alla von der Leyen una certa reticenza in merito proprio ai rapporti con la Meloni quando ha risposto che i tre criteri cui si rifà per valutare ogni ipotesi di collaborazione sono quelli dell’essere pro-Europa, pro-Ucraina e contro Putin, e per lo Stato di diritto. Aggiungendo sul caso specifico del rapporto con Giorgia Meloni: “Vedremo se coloro che sono filoeuropei – e lei è chiaramente filoeuropea – contro Putin – è stata molto chiara su questo punto – e a favore dello Stato di diritto, se è così – e poi ci offriremo di lavorare insieme”.
Intanto, c’è da considerare che non si è filoeuropei perché si è solamente contro Putin. Questo può sicuramente costituire un elemento importante, ma c’è bisogno di ben altro. In particolare, una visione solidaristica dell’Unione, il superamento delle politiche turboliberistiche sollecitate negli ultimi due decenni dagli interessi finanziari che poco interesse hanno all’economia cosiddetta reale, l’avvio di un processo di evoluzione ulteriore dell’Europa, grazie alla ridefinizione dei trattati, disegnando un’Unione meno prigioniera dei sovranismi e dei nazionalismi.
A chi guarda alla tradizione del popolarismo europeo queste cose di sicuro non sfuggono e diventeranno un elemento dirimente su tutte le valutazioni che andranno fatte il giorno in cui giungeranno i risultati di giugno.