Il prossimo 22 ottobre Monza andrà alle urne per l’elezione del senatore chiamato ad occupare il seggio che fu di Silvio Berlusconi. Si profila, a quanto pare, un confronto di qualche interesse. E’ presto per affermarlo con certezza, ma sembra si stia preparando un passaggio elettorale in cui si sovrappongono storia e caratteri, contraddizioni e prospettive del nostro sistema politico, messe, tutte assieme, alla prova di un voto che verrà letto, in chiave nazionale, come l’ultimo appello che precede l’elezione del Parlamento Europeo. Galliani, Cappato, Cateno De Luca: questi, almeno finora, sembra siano i cavalli allineati ai canapi di un Palio che va oltre la sfida cittadina. Su questa griglia di partenza del Gran Premio torneremo piu avanti. Infatti, va detto, anzitutto, che Monza si offre come possibile laboratorio politico cui guardare con grande attenzione, in primo luogo per il carattere della città. Discreta ed operosa – nota nel mondo intero per il suo storico autodromo – Monza non cerca la ribalta, ma, tra le quinte, sa curare, con i piedi ben piantati per terra, senza voli pindarici, i propri cospicui interessi. Si direbbe, la classica citta’ di provincia, ma, in effetti, è qualcosa di più. In fondo una piccola “capitale” che vanta un retaggio storico di prim’ordine. Una citta’ “moderata”, eppure dal carattere forte, dal punto di vista economico e sociale, ricca in quanto a radicamento territoriale e cultura locale. Un carattere che le ha consentito di non soffocare nella cintura urbana di Milano che, pure, fisicamente la comprenderebbe. Ha riscattato la sua identità e la sua autonomia dalla conurbazione ambrosiana costruendo, con la Brianza – la terra del legno e del mobile, divenuti anima e cultura, di un territorio dall’ imprenditorialità avanzata – la piu’ vitale tra le Amministrazioni Provinciali di più recente istituzione. Storicamente autonoma da Milano perfino dal punto di vista liturgico, cioe’ di “rito romano” e non “ambrosiano” come si potrebbe ritenere.

Monza, con apparente nonchalance, vanta, appunto, una storia importante ed antica, attestata nel nucleo del suo centro storico, in quel centinaio di metri che separano – o meglio uniscono – Duomo ed Arengario, vita religiosa e vita civile. Connessione quest’ ultima simboleggiata, del resto, dal diadema che onora la citta’, quella “corona ferrea”, in cui pare che un chiodo della croce di Cristo funga da supporto e tenga insieme le placche dorate, incastonate di gemme, a loro volta simbolo del potere regio ed imperiale. E’ stata la capitale longobarda di Teodolinda e la “corona ferrea”, custodita nel tesoro del Duomo, in un decorso ultramillenario, ha consacrato re d’ Italia ed imperatori, dall’ età di Carlo Magno fino a Napoleone ed agli Asburgo. Città dove è stata eretta la “Cappella Espiatoria”, sul luogo del regicidio anarchico di Umberto I, a poche centinaia di metri dalla Villa Reale del Piermarini, concepita dagli Asburgo ed agli Asburgo tornata nella prima metà dell’ Ottocento, dopo la parentesi di Eugenio di Beauharnais, che Napoleone design vicere’ d’ Italia. Nel primo novecento, città d’adozione del comasco Achille Grandi che, avverso al Patto Gentiloni, vi diresse la “Lega cattolica del lavoro”, dando avvio alla storia del sindacalismo bianco, prima di morire, pochi chilometri a nord di Monza, a Desio, città natale di Papa Ratti. Ma, per tornare ai nostri giorni, sono fin d’ ora le prime candidature in gioco, a rendere paradigmatico il voto del prossimo ottobre. Città storicamente cattolica, bianca e conservatrice non è detto che Monza debba essere necessariamente consegnata alla destra che candida Galliani, erede designato al soglio dalla “famiglia”. Oggi governata da un sindaco e da una giunta di centro-sinistra, non è detto che debba essere consegnata a Cappato, espressione emblematica della deriva radicale di quella che fu e dovrebbe essere una sinistra progressista e popolare. In quanto al fatto che il sindaco di Taormina si candidi a ricoprire tale carica a Monza è perlomeno irrituale, ma soprattutto denuncia la cacofonia di un sistema politico, apparentemente attestato su un inossidabile “bipolarismo”, in effetti scomposto e sfatto piu’ di quanto non appaia. La candidatura di Cateno De Luca dimostra come il “populismo” non alligni solo a destra, bensì vada assumendo il carattere di cancro endemico del nostro sistema politico. Che poi De Luca intenda fare la “chiama” dei meridionali monzesi, è qualcosa che sta tra il patetico ed il ridicolo. Un che di regressivo che, anzitutto, offende gli stessi meridionali che, in Brianza, fatta salva qualche diffidenza iniziale nei confronti dei “terroni”, presto superata in nome del comune impegno a tirare il carro di un Paese che voleva rinascere, hanno saputo radicarsi nel tessuto civile locale.

Basterebbe osservare quanti meridionali hanno raggiunto posizione ragguardevoli nei partiti e nelle istituzioni locali per capire come non abbiano bisogno che De Luca risalga lo stivale per riscattarli. Ci hanno già pensato da soli.

Se tale  è oggi il quadro, la prima mossa spetta al PD. Deve scegliere se adattarsi a Cappato, chiudersi a doppia mandata in quella cultura radicale ed esasperatamente individualista cui spesso inclina, senonche’  è in piena contraddizione con il carattere autenticamente “popolare” di una città che, per quanto terza in Lombardia, dopo Milano e Brescia, ha conservato una cifra di umanità ancora invidiabile. Al contrario, deve decidere se concorrere ad affermare – cosa che pur dovrebbe essere nelle sue corde, almeno qui – quella cultura “personalista” che ha molto da dire anche sul piano locale. “Cultura personalista” che, anche a Monza, spetta, in primo luogo, ai cattolici rivendicare. Soprattutto, nella misura in cui rappresenta quel “trait de union” che puo’ consentire alla loro ispirazione cristiana di parlare a quelle culture ambientaliste o di radice socialista che sembrano, oggi, aprirsi, ad un apprezzamento piu’ consapevole della centralità che va riconosciuta alla persona ed alla sua dignità in tutte le battaglie orientate a quei valori di liberta’ e di giustizia sociale che, concordemente, Costituzione repubblicana e Dottrina Sociale della Chiesa sostengono e promuovono.

Domenico Galbiati

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