Uno sguardo sull’attualità, come quello sulla prospettiva, ci dice che l’Africa è al centro delle strategie nella politica globale. Un continente ricchissimo di risorse naturali, con una popolazione giovane e in crescita, ormai consapevole del ruolo che gli spetta nel mondo, dopo secoli di umiliazioni e di ingiustizie perpetrate in gran parte dal colonialismo (Nord)europeo, sembra aver intrapreso in modo inarrestabile il percorso verso lo sviluppo. E se è purtroppo vero, come ci ricorda padre Alex Zanotelli nel suo appello ai giornalisti italiani, che tuttora in Africa permane una umanità sofferente, è altrettanto vero che i problemi umanitari meritano adeguate risposte all’interno di una strategia politica complessiva necessaria per il riscatto dell’Africa, che deve vedere i Paesi africani, chi più, chi meno conforme agli standard di democrazia occidentali, come artefici del loro futuro. Avendo la stagione dell’“esportazione della democrazia” e delle “primavere arabe” fatto il suo tempo e lasciatoci in eredità i disastri che ben conosciamo, tra cui quello in Libia.
L’Africa è stato uno dei temi al centro dell’incontro della premier Meloni con il presidente americano Biden alla Casa Bianca. E poco importa stabilire chi indica la linea a chi, il fatto incontrovertibile è che la “linea Mattei” per l’Africa, quella del rapporto paritario ed equo, ottiene il sostegno di entrambi. Una rivincita postuma per quello che può essere considerato uno dei padri della Patria, forse il leader che ha saputo meglio interpretare la missione dell’Italia repubblicana nel mondo. L’attuale premier beneficia del lavoro svolto dal precedente governo verso l’Africa, che, insieme al ruolo del presidente Mattarella che in questi anni molto si è speso per rafforzare le relazioni dell’Italia con vari Paesi appartenenti a regioni diverse dell’Africa, ha aperto all’Italia non solo nuove possibilità di stipulare contratti energetici ma soprattutto di contribuire insieme ad altri partners extraeuropei presenti in Africa, alla realizzazione di interventi ritenuti necessari dai governi locali per lo sviluppo dei loro Paesi. Appare del tutto coerente con questa impostazione l’intento manifestato dall’Italia, di caratterizzare la sua presidenza di turno del G7 nel 2024 sull’Africa.
Ed è sempre l’Africa a tenere banco nei grandi eventi della politica mondiale. Sarebbe contro i nostri interessi mettere la testa sotto la sabbia per non vedere quello che è successo a San Pietroburgo il 27-28 luglio scorsi. Il secondo summit Russia-Africa ha messo attorno al tavolo i rappresentati di quasi tutti gli oltre 50 Stati africani, 17 dei quali rappresentati al livello di capi di stato e 32 di capi di governo. Che il Cremlino sfrutti l’evento per fini propagandistici, è ovvio. Ma si deve guardare a ciò che a noi interessa, capire come ragionano i leader africani. Nell’ex capitale della Russia si è discusso di come plasmare il destino dell’Africa nel nuovo assetto multipolare del mondo.
I Paesi africani sono uniti, come afferma la dichiarazione finale congiunta, nel chiedere un sistema economico più equo e inclusivo e la riforma delle attuali istituzioni finanziarie globali. Non vogliono l’elemosina (nemmeno il grano gratis di Putin, e il presidente del Sudafrica Ramaphosa non glielo ha mandato a dire) né vivere di aiuti umanitari che garantiscono una condizione di perenne sottosviluppo. Appaiono determinati nell’utilizzare per lo sviluppo dell’Africa le ricchezze naturali di cui dispongono, cercando di accrescere la quota di valore aggiunto che rimane nei loro Paesi attraverso l’aumento della lavorazione in loco dei beni estratti o coltivati. Valga da esempio il caso del caffè, portato da uno dei presidenti africani. Il mercato globale del caffè vale 460 miliardi di Dollari, solo 25 vanno ai Paesi produttori, e di questi solo 2,4 miliardi a quelli africani.
L’Africa è al centro anche della politica estera della Cina. È diventata una consuetudine il fatto che la prima visita all’estero dell’anno del ministro degli esteri cinese avvenga in Africa. L’Africa detiene con il Sudafrica la presidenza di turno dei BRICS e i temi della sua crescita saranno al centro del prossimo vertice di Johannesburg del 22-24 agosto prossimi.
Ecco perché l’Africa non può che stare al centro anche della politica italiana, ben al di là dell’emergenza immigrazione. Le relazioni con i Paesi africani vanno impostate sulla base dell’interdipendenza che lega l’Italia, e l’Europa, all’Africa, e sulla base di un’idea di ordine internazionale condivisa, della quale Enrico Mattei fu sostenitore ante litteram. Se è positivo che il governo di destra sia impegnato su quella linea, vi dovrebbe essere una ben maggiore e corale convinzione nel rivendicarla e sostenerla da parte di chi rappresenta l’eredità culturale di Mattei, da parte delle forze di centro. Ma per fare questo serve la consapevolezza che il nostro futuro si gioca in Africa (molto più che in una guerra di logoramento nell’Est Europa, che più passa il tempo e più rischia di concludersi a condizioni sempre meno favorevoli), nella capacità di inserirsi nelle dinamiche del suo sviluppo, nelle catene di approvvigionamento indispensabili alla manifattura europea e alla transizione ecologica su un piano di parità e di rispetto, senza doppi standard, degli Stati e dei popoli africani.
Giuseppe Davicino
Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione I Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)