Ieri è stata celebrata la “Giornata della Salute Mentale” e viene spontaneo ricordare la “Legge Basaglia”, approvata dal Parlamento il 13 maggio 1978. Quattro giorni prima, in Via Caetani, tra Piazza del Gesù e Botteghe Oscure, le BR avevano fatto ritrovare, nel bagagliaio della famosa Renault rossa, il cadavere di Aldo Moro.
L’ Italia viveva uno dei momenti più drammatici e sconvolgenti della sua storia, eppure eravamo in una stagione in cui le riforme si facevano davvero. Si facevano attraverso un confronto parlamentare che, anche se aspro, era orientato, da una parte e dall’ altra, all’ interesse generale del Paese, pur nell’ ottica di culture differenti. Nello stesso anno – 1978, dicembre – giunse in porto un’altra legge di grande portata, la riforma generale della Sanità che, dal sistema mutualistico, passava all’ universalità delle cure, attraverso la creazione del Servizio Sanitario Nazionale.
“833” e “180”: due leggi rivoluzionarie sul piano culturale prima che sul piano tecnico dell’ organizzazione dei servizi sanitari, studiate ed imitate in tutto il mondo, per quanto la loro pratica applicazione non sia stata all’ altezza del loro alto profilo politico e civile.
La 180 è stata il frutto di un vasto movimento, nato attorno a Franco Basaglia, che ha portato alla chiusura dei “manicomi” ed ha ridato dignità morale a migliaia di pazienti affetti da un disturbo psichico. Nei confronti dei quali vigeva ancora il pregiudizio che, in nome di una insuperabile, quasi ontologica, irrimediabile diversità, dovesse valere la logica della segregazione.
La malattia mentale era una vergogna, una lebbra che, prima che non il corpo e con il corpo, deformava l’anima, la spogliava della sua umanita’, la confinava nella brutale nudità di una sopravvivenza meramente biologica. Il paziente psichico faceva scandalo, rappresentava una intollerabile devianza che andava rimossa, letteralmente asportata dal corpo sociale, scosso dal timore di esserne contagiato. In effetti, il vero motivo per cui il malato di mente andava nascosto e dimenticato sta esattamente qui, nel fatto di rappresentare, in un certo senso, un monito e, nel contempo, una minaccia.
La “follia” è l’immagine o addirittura l’eco ovattata e profonda di una fragilità che, senza ammetterlo espressamente, sentiamo essere potenzialmente di tutti. Ed è così tuttora. Di fronte ad un alienato mentale ci sentiamo disarmati, come se la sua sofferenza si riverberasse in una mutilazione che ci tocca da vicino, pervasiva come se potesse penetrare anche nei nostri pensieri e nei nostri sentimenti. E’ vero, piuttosto, che i malati di mente, gli allucinati, i deliranti purché si sappia accostarli rispettando la loro umanità sconvolta, ascoltandoli, cercando di cogliere empaticamente il loro tormento o meglio la loro inesausta, incessante ricerca di senso hanno molto da insegnarci.
Sono l’ altra faccia della luna della nostra umanità, quella che non si vede mai, eppure fa tutt’ uno con la superficie che irradia su di noi la luce del sole, anche nel buio della notte.
Domenico Galbiati